La Festa di Sant’Agata nei nostri giorni a Catania

La Festa di SantAgata nei nostri giorni a Catania

 

 

Introduzione

 L’anno scorso (2012/2013) grazie al programma Erasmus, ho potuto trascorrere un semestre in Sicilia, a Catania. In febbraio si svolgeva la Festa di Sant’Agata la quale è il più grande orgoglio della città. Mi interessavo molto della celebrazione e l’ho seguita con grande entusiasmo e  documentandola con delle foto e dei video. Durante i miei studi all’università preferivo sempre gli argomenti della civilizzazione italiana, e la Festa offriva una buona possibilità come il tema della mia tesi. Quondi dopo che ero arrivata a casa, ho deciso di scegliere la Festa come l’argomento della mia tesi di laurea.

Bisognava redurre poi l’area che la Festa tocca, siccome ci sono tantissimi aspetti da cui si potrebbe avvicinarla. Alla fine cercavo di concentrarmi la festa di oggi, questa festa che ha quasi 1600 anni (e radici nell’epoca antica) e si svolge fino ad oggi ormai tra le decorazioni della Catania moderna.

Ovviamente prima faccio conoscere la figura di Agata, che visse nel corso del III. secolo dopo Cristo e descrivo le sue vicende. Poi provo di ricostruire l’evoluzione del suo culto che traversa sull’arco della storia dai primi cristiani fino ad oggi. Aver dato uno sguardo al passato, nella parte principale racconto lo svolgimento della festa di oggi, ed esamino la gente che ci partecipa attraverso un questionario. Con il sondaggio vorrei misurare la composizione dei partecipanti per quanto riguardano le fasce sociali, e le motivazioni, e studio la relazione tra religione e tradizione.

Per finire analizzo tre articoli esponendo i problemi attuali.

 

Riassunto

            La Festa di Sant’Agata è la celebrazione della santa patrona di Catania, e si svolge ogni anno dal 3 fino al 5 febbraio nella città siciliana. Nella mia tesi di laurea prima descrivo la vita e le vicende della martire, poi brevemente osservo le radici e l’evoluzione del suo culto.

            Le due parti principali della tesi saranno Lo svolgimento della festa di oggi con tutti gli eventi e oggetti della festa, e le Analisi del questionario sulla partecipazione alla Festa di Sant‘Agata, che ho fatto per studiare i partecipanti da diversi punti di vista. Nel capitolo finale analizzo tre articoli dando un occhiata ai problemi emergenti della festa nel 21° secolo.

 

 

La martire di Catania: SantAgata

 

La vita di Agata                   

 

            Agata, nacque in una nobile famiglia catanese nel corso del III. secolo d.C.  Non c’è accordo tra gli storici, per quanto riguarda la data di nascità di Agata, la quale potrebbe essere 231, 235, ma altre fonti menzionano 238. Ma rendendo conto della sua morte, che subì nel 251 – è una data riconfermata da tanti ricercatori – possiamo quasi escludere 238. Se l’ammettessimo, come la sua nascità, ne ricaveremmo che Agata  morì all’età di tredici anni, che pare poco probabile. Le sue tragiche torture sembrano legarsi a un età più matura, di circa quindici, venti anni.[1]

            Comunque Agata fu nata in una della famiglie più importanti di Catania di allora. I biografi contano sette famiglie che al canonizzazione della santa si contendevano per verificare gli origini di Agata della loro famiglia: i Colonnesi (romani d’origine), gli Asmari (catanesi), gli Altiflores e gli Anzalone (entrambi di Palermo).[2] Ci sono soltanto ipotesi, per il suo aspetto fisico, ma a base delle reliquie, e come appare nell’agiografia era una ragazza slanciata, bella, con i capelli biondi, ed era anche famosa, perché veniva da una famiglia nobile, quindi conosciuta in città.[3]

            Secondo la tradizione più ricorrente il padre si chiamò Rao, e la madre Apolla. Agata fu educata con la profonda fede cristiana e fu consacrata a Dio dalla propria volontà, cioé doveva vivere come in un monastero, distaccata dal mondo.[4] Su quello testimoniano le fonti, ma si può sopporre, che la ragazza fu costretta a vivere da monaca, perché i genitori glielo hanno ordinato e non per la stessa e libera scelta, come fu consuetudine al cristianesimo prematuro.

            Comunque la giovane ragazza attirò l’atenzione di Quinziano; il governatore della provincia (proconsole), che volle ottenerela per sé. Trovò subito il pretesto per avvicinarla: la fede illegale nell’Impero, ma professata dalla giovane.[5]  Perciò Agata fu citata davanti al Quinziano, ma l’affezione del governatore non venne per niente contracambiata. Dopodiché i genitori di Agata, che erano proprietari di numerosi poderi nei dintorni di Catania, cercarono scampo nella fuga, e nascondarono la loro figlia probabilmente a Galermo.[6] Ma dopo qualche mese di ricerche, le truppe inviate dal proconsole riuscirono a trovare Agata in esilio, e la condussero in tribunale al cospetto di Quinziano.[7] Il romano vedendo la resistenza della fanciulla, l’affidò ad Afrodisia (nome parlante), una cortigiana dissoluta. La padrona viveva con le sue nove figlie, che tutte erano già avviate alla prostituzione sacra (dedicate alla Dea Demetra), e per oltre un mese, le donne tentarono di convincere Agata a seguire l’idolatria, cercarono di corrompere la giovane cristiana nel corpo e nello spirito.[8] Le offrirono delle cose mondane: ricchezza, divertimento, schiavi, gioielli, poi la minacciarono, ma Agata disprezzava i doni, e si mostrava insensibile a ogni minaccia. Siccome i tentativi di Afrodisia mostrarono inutili, riconsegnò la giovane a Quinziano.[9]

            Nella sua storia da questo punto inizia a delinearsi una vera leggenda cattolica, arricchita dal linguaggio del popolo con eventi mistici ed eroici. Agata ritornando davanti al Romano, non ammise il paganesimo, e lo rifiutò di nuovo, allora Quinziano ordinò di sottoporla a orrende torture.[10] Il tormento della Santa richiama uno dei supplizi più comuni per i cristiani: prima essere sbranati davanti a un pubblico, poi essere bruciati vivi. Così che secondo la leggenda Agata venne spogliata e colpita dai soldati fino a sanguinare, poi subì l’attroce più famosa e impressa maggiormente nella memoria: Quinziano colpì la ragazza nella sua femminilità: venne mutilata, le tagliarono le mammelle con pettine di ferro[11], intanto che Agata non producò nemmeno un gemito.[12]

                 Dopo i supplizi, Agata fu riportata in carcere, dove sarebbe dovuta morira, perché ha perso troppa sangue, ma seguendo i testi dell’agiografia, e fu menzionata anche da Iacopo da Varazze nella Legenda Aurea, durante la notte apparve ad Agata San Pietro nella cella. E il giorno dopo tutte le sue ferite e anche le mammelle furono restaurate. [13] Quinziano vedendo la guarigione diventò furioso e Agata venne condannata al rogo. Secondo la leggenda appena la Santa spirò, un tremendo terremoto scosse Catania, facendo crollare le mura del palazzo di Quinziano.[14]

Le origini della festa e l‘evoluzione del culto

            Le vicende della Santa successero  nel corso del III. secolo, sotto il consolato di Quinziano, con Decio Traiano imperatore, quando l’Impero Romanu fu già in crisi sempre più profonda. Il sovrano cercò di rafforzare  l’Impero con la promozione della religione romana,  essendo così il primo imperatore di commandare la persecuzione dei cristiani sistematica.[15] Agata fu caduta vittima di questa persecuzione, ma sulla canonizzazione si sa poco. «La Chiesa cattolica ha sempre dichiarato indiscutibile la santità di coloro che hanno testimoniato la fede in Cristo (…) fino a spargere il loro sangue» – scrive Maurizio Cosentino nell’introduzione del libro: La vera deità catanesa.[16]

            Già l’anno successivo alla sua morte ebbe la diffusione del suo omaggio, e a partire dalla liberazione dei cristiani con l’editto costantiniano del 313 anche l’impero lascia via libera all’incremento del culto. Dopo l’editto, il cristianesimo divenne la religione di stato nel 380, e iniziò un conversione in massa. E questo fatto costrinse i pastori della Chiesa di inserire alcune usanze pagane nella pratica della religione cristiana, promuovendo in tal modo la formazione del culto dei santi.[17] Quindi nonostante la festa abbia un carattere cristiano, si mescolano gli elementi cattolici e le antiche credenze, che si percepisce fino ad oggi.[18]

 

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La storia della formazione del culto è abbastanza tenebroso dalla morte della santa fino all’inizio del Medioevo. La festa sicuramente è stata arricchita da tante culture dei diversi popoli i quali hanno attraversato la Sicilia, e questa mescolanza rendeva la festa molto varia e unica.  «Sant’Agata ha ottenuto subito il titolo di patrona di Catania, (…) ed essa è invocata per ottenere soccorso nei pericoli del fuoco, quando le colate laviche dell’Etna fanno temere la città.» Ovviamente tanti miracoli sono attribuiti alla Santa e nel corso dei secoli si formavano i temi e casi specifici quando conta l’intercessione di Agata tra cui sono le eruzioni del vulcano (già menzionate), le malattie del seno, i difficili gravidanze, e tante altre cose.

La prima processione documentata avvenne spontaneamente nel 1126, quando il Vescovo benedettino, Maurizio riportò da Costantinopoli le reliquie agatine, trafugate 80 anni prima (nel 1040).[19] All’inizio queste celebrazioni si svolgevano presso la Cattedrale. La festa prese il carattere da processione solo sotto il dominio Aragonese e questo specifico di giri ha le sue radici probabilmente nella tradizione catalana: i giri per la città a causa di una festa cattolica, qunado vengono trasportate a spalla delle statue dei santi.[20]

Per esempio nel 1376 già venne condotta in giro per le vie interne della città, quindi verso questa data venne costruita anche il Fercolo (la macchinetta su cui portano in giro le reliquie della Santa), ed i primi contenitori delle reliquie (il Busto Reliquiario, ancora in legno) semplificando in questa via il movimento della marcia.[21] Un’altra usanza dell’epoca é che il Fercolo fu «portata a spalla dagli “ignudi” o “scalzi”, così soprannominati perché per atto pnitenziale durante la processione si presentavano a petto nudo e senza calzari.»[22] Comunque in questo periodo cominciava il giro interno nella città, e la festa si svolgeva solo un giorno, il 4 febbraio.

La tradizione “L’offerta della cera” risale al 1450, secondo Angelo Boemi, nel libo Sant’Agata – La storia, il culto, ma l’usanza della cera io riterrei a molto più presto ai tempi antichi. La presenza delle candele è molto significativo, siccome alla Festa di S. Agata gli oggetti luminosi hanno un ruolo centrico, (későbbiekben lesz róla szó, ezt nem tudom, hogyan rövidítik…dopo vedremo) e rievocano fortemente i riti pagani. Esaminando le feste romane, ho scoperto una che mostra tanti punti in comune con la Festa di Agata: la Giunone Februata. Nella Roma arcaica febbraio era l’ultimo mese dell’anno, che preludeva il rinnovamento simboleggiato dalla primavera, quindi facessero una serie di riti purificatori, tra cui Guinone Februata. Februa, la parola latina  signifia “il mese della purificazione”. La festa inizò il 2 febbraio, e durante le processioni i cittadini accesero delle candele purificanti, cacciando via in questo modo  il buio dell’inverno. Quindi si assomigliano le date vicine e le candele.[23]

Col passare dei secoli alle cerimonie religiose si sono aggregati degli eventi più popolari, e la festa prese una fascia più mondana, oggi diremmo folkloristica. «Nel 1522 il nobile catanese, don Alvaro Paternò redasse il “Liber Cerimoniarum”», cioè «Furono istituite giostre, organizzati cortei e corse di cavalli, cavalcate nobiliari, spari di mortaretti e addobbi vari per tutto il percorso della processione.[24]»

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Dopo due cataclisme nel il corso del 600 (un eruzione enorme dell’Etna nel 1669 che coprì quasi la metà della città, e un terremoto accaduto nel 1693 che poi distrusse completamente Catania)[25] la cittá venne ricostruita. In conseguenza di ciò la struttura urbanistica si trasformò profondamente:costruirono delle strade più larghe e comode, e pian piano si configurarono anche i diversi quertieri della città.[26] Dunque dopo la rinascità di Catania, l’andamento delle celebrazioni venne completato con un altro giorno il 5 febbraio, allungando la durata dei festeggiamenti e la processione venne divisa in due giri:il “giro interno” e il “giro esterno” e allora la festa toccò tutte le zone della città.[27]

Per quanto riguarda l’epoca del Risorgimento continuavano le celebrazioni, mantenendo tanti riti antichi, medievali e raccogliendo nello stesso tempo sempre dei nuovi elementi, ad esempio i fuochi sparati prima della festa. Fino allora la fama della santa fu espansa in tutto il paese, e nel 1881 la regina Margherita regalò un anello prezioso alla Santa.[28]

Poi tanti artisti famosi fanno testimonianza del rilievo di Sant’Agata, i quali furono ispirati dal suo carattere e dipinsero il suo martirio. Tra cui i più noti sono Sebastioano del Piombo (del 500, Firenze), Giovanni Lanfranco (del 600, Parma) Giovanni Battista Tiepolo (del 700), inoltre numerosi affreschi conservano la sua memoria in tutta l’Italia (Chiesa San Matteo, Lecce, Chiesa di Santa Maria, Esine, Basilica di Sant Apollinare nuovo, Ravenna ecc.)

Nel corso del XX. secolo arrivavano delle novità tecniche degli oggetti della festa, come ad esempio la meccanizzazione del Fercolo ( la macchina che porta i reliquiari) nel 1929. Durante la seconda guerra mondiale alcuni accessori preziosi della festa sono stati danneggiati dai bombardamenti, ma presto tutti ricostriuti, e dal 1947 hanno conservato la loro forma finale, che si ammirano fino ad oggi.[29]

Insomma con tutta l’evoluzione del culto la festa esiste da più di 1600 anni, a l’omaggio verso la Santa non diminuisce. La festa attira delle grandi masse ogni anno….

 

Lo svolgimento della festa di oggi

 

La festa più grande e più aspettata dalla città venne organizzata in ogni anno in onore della patrona Sant’Agata. I festeggiamenti principali si svolgono in città dal 3 al 5 febbraio, ma ce n’è un altra che si tiene il 17 agosto. Siccome gli italiani amano fare delle grandi feste, le preparazioni iniziano già nelle settimane precedenti, con la decorazione della città, e con fuochi artificio continui. La festa è arricchita da tanti oggetti e accessori tradizionali che sono presi a cura dai cittadini entusiasti. Nelle prossime righe scriverò di questi elementi indispensabili della festa, e poi descriverò la processione religiosa.

 

Gli oggetti e le reliquie della festa

 

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Le candelore e le candele

Le candele sono oggetti importantissimi della festa, che nell’interpretazione religiosa simboleggiano la purificazione e la luce di Dio. Ma alcuni fonti storiche affermano che comunque le grandi candele a candelore sostituiscono un rito sacro ad un rito pagano, come le processioni falloriche dell’antica grecica.[30]

Ritornando alle candele, vediamo prima che cose sono le candelore? Si tratta di grosse costruzioni in legno, che hanno la forma di una colonna, riccamente ornati nello stile barocco siciliano all’interno dei quali contengono un grande cereo.[31] Il peso di queste imponenti candelore (si dice anche ceri) si aggira sui 400-900 kg, le quali vengono portati a spalla da un gruppetto di uomini forzuti. I 6 o 12 uomini fanno avanzare i ceri durante la procesione per le vie di Catania con un’andatura molto caratteristica: è un tipo di danza caracollante, detto in siciliano: ‘a‘nnacata. Inoltre le candelore che oggi sono in totale  undici, rappresentano le corporazioni delle arti e dei mestieri della città, ad esempio: Candelora dei Pescivendoli, Candelora dei Macellai, Candelora dei Pastai.

Il porto delle candelore fa parte delle preparazioni della festa, così ogni candelora inizia già a girare per la città due settimane prima, seguita dall’immancabile banda musicale, presso i negozi dei soci della corporazione a cui appartiene. [32]

Inoltre anche le candele e i ceri più piccoli sono importanti “all’offerta della cera”. Questa è una  tradizione che deriva dal fatto che nel Medioevo i cittadini erano costretti a pagare una tale tassa: dovevano donare una somma o un cero alla prorpia corporazione per illuminare la chiesa e l’altare della Santa Patrona. [33] Come si vede la tradizione un paio di secoli fa ebbe una ragione molto  sempilce e pratica., cioè dare luce alla chiesa. Oggi il motivo pratico  è scomparso, ed è rimasto quello religioso, tradizionale: i cittadini offrono un cero a Sant’Agata come segno della loro devozione. Ci sono in giro della città parecchie altari di Agata, dove i credenti possono accendere la loro piccola candela gialla, poi avendo finito con le preghiere, la buttano nei grandi contenitori.

Per finire la sfilata delle candele ci sono quelle più grandi a volte enormi che pesano dai 30 kg fino al 100 kg o in più. Queste vanno portate a spalla dai devoti ed esprimono la devozione molto più spettacolarmente. Svolgono il loro ruolo all’ultimo giorno dei festeggiamenti, quando inizierà la salita in via Etnea.

 

La macchina di Agata

 

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Il fercolo oppure in siciliano la vara della Santa è una costruzione in legno ricoperto di argento, su cui portano in giro le reliquie di Agata durante la festa. Le reliquie sono custodite nel Busto reliquiario e nello Scrigno, una cassa decorata che include ugualmente i resti mortali della Santa. Il fercolo è stato ristrutturato parecchie volte, durante la sua storia. Quella forma già ornata l’ha giunta nel 1518, quando fu elaborato dal tocco dell’artista napolatenao Vincenzo Archifel. Così la vara diventò un opera rinascimentale, con le sei colonne in stile corinzio, coperta da una cupola, e arricchita da tani ornamenti e da dodici statuine d’argento raffiguranti gli Apostoli che svettano attorno alla cupola[34] Nei successivi  vennero aggiunte altre decorazioni, che nel corso del tempo furono rubati qualche volta. Durante la seconda guerra mondiale fu preso dai bombardamenti, e finalmente ripreso nel 1947.

Originariamente la vara venne tirata dai cittadini, precismanete dai devoti, attraverso quattro corde, con maniglie, lunghi ciascuno circa 130 metri.[35] Questo fu allora un compito degli uomini. Oggi il fercolo praticamente è messo su un tipo di macchina, che se lo porta automaticamente, ma le corde sono rimaste oggi „trascinate” dalle masse emancipanti e misti: uomini, donne, bambini.

Lo Scrigno e il Busto reliquiario

Il Busto reliquiario risale al 1376 finemente decorato in argento e contiene il teschio della Santa. Mentre il Busto viene posto sullo Scrigno, il quale è una cassa d’argento pure, e ha la stessa funzione che il busto, cioè un busto maggiore che include altre reliquie della santa. Fu realizzato dallo stesso artista che costruì la Vara.[36] I reliquiari contenuti nello Scrigno sono in sette: i due femori, le due braccia con le mani, le due gambe con i piedi e una mammella, e in più il sacro Velo. Ognuno racchiuso nelle scatole reliquiarie cesellate.[37]

 

L‘abbigliamento dei devoti

            Per la festa i cittadini, i cosídetti devoti, si travestono un abbigliamento tradizionale. Si mettono il sacco Agatino (in siciliano: saccu), che è una tunica bianca con un filo monastico intorno alla vita, guanti bianchi, un fazzoletto, e un copricapo nero (detto in sic. scuzzetta).[38] Inoltre oggigiorno indossano anche altri accessori: una collana con medaglia (solitamente di plastica) su cui appare il viso della Santa, e una sciarpa stretta.

Ovviamente l’abito è simbolico e allo stesso tempo pratico. I partecipanti che si mettono l’abito, si chiamano se stessi devoti. Devoto significa credente, servo di Dio, in certe regioni invece può avere anche una sfumatura negativa, cioè una persona che troppo religiosa, bigotta. Ma non a Catania, dove la parola non può avere nessuna connotazione cattiva.  Il devoto fa la devozione, cioè esprime la sua fede a Dio, esprime il suo omaggio, la sua ammirazione  verso la Patrona di Catania. Durante la festa praticamente fanno un piccolo pellegrinaggio con le candele, quindi i devoti sono pellegrini che fanno un promesso a Dio, pregano per qualcosa o per qualcuno, e chiedono l’aiuto della loro Santa, mostrando a volte il volto davvero fanatico della loro devozione.

Comunque il sacco agatino simboleggia la penitenza, il colore bianco indica la purezza, mentre il copricapo rappresenta il capo cosparso di cenere in segno di sottomissione e umiltà.[39] Ci sono anche dei motivi pratici però: i guanti, e la sciarpa sono molto utili durante la processione (contro il fumo, la cera sciolta ecc.)

 

La processione

La preparazione

            Già nei giorni precedenti iniziano le preparazioni alla festa, la quale offre una buona occasione per sparare dei fuochi d’artificio non solo di notte, ma anche di giorno. Poi nel corso delle vie principali del centro storico (Via Etnea, Via Caronda, Via San Guiliano) mettono le decorazioni con le luci elettroniche, cioè enormi pannelli di luci colorate, di cui i motivi tutti gli anni vengono variati.[40] Inoltre tutte le chiese vengono abbellite con un’abbreviazione di luci “W.S.A”, che scioglendo la sigla vuol dire Viva Sant’Agata!

Il 3 febbraio – L‘offerta della cera

Gli eventi del primo giorno della festa sono ancora di tipo introduttivo. La mattina alla Chiesa di Sant’Agata, in Piazza Stesicoro si riuniscono i fedeli per l’offerta della cera che quindi apre i festeggiamenti. Come ho già menzionato, l’offerta della cera è la parte della processione quando i preti benedicono i ceri dei devoti, che donano la loro cera alla Santa. Oltre alle candele più piccole, ci sono quelle grosse, perché un’usanza popolare richiede che i ceri offerti siano alti e pesanti quanto la persona che chiede qualcosa dalla Santa.[41] (Queste candele enorme avranno ancora un ruolo importante nel corso della festa.) Comunque alla benedizione partecipano il clero, le autorità cittadine, gli antichi ordini militari e cavallereschi e la folla dei devoti e cittadini. Dopo la benedizione gli partecipanti dalla Piazza Stesicoro – dove sarebbe stata martirizzata Sant Agata[42] – scendono in Via Etnea raggiungendo il Duomo. Le autorità religiose e civili vanno nelle carrozze settecentesche e arrivando alla cattedrale ammirano la sfilata delle candelore, che vengono portate nel corteo.

La liturgia religiosa finisce qui, d’ora in poi la massa si spande per riunirsi di nuovo alla sera, quando c’è un grandioso spettacolo di fuochi d’artificio in Piazza Duomo accompagnati dal forte scampanino della campane della Cattedarle. Durante la festa spesso si sparano dei fuochi, non solo per la gioia dei fedeli, ma i catanesi attribuiscono ai fuochi altri significati: la martire che fu bruciata sul rogo, e naturalmente il fuoco dell’Etna.[43] Sin dall’antichità  preferiscono collegarsi i disastri naturali ai poteri celesti, e in questo contesto le eruzioni del vulcano vanno spiegate come le risposte e le manifestazioni di Agata.

IIl 4 febbraio – La messa dell‘aurora, e il giro esterno

            Il giorno seguente inizia con la messa dell’aurora nel Duomo di Sant’Agata. I devoti ormai travestiti nel sacco agatino riempiono pian piano la grande chiesa, e i devoti ascoltano la messa in attesa entusiasta dell’uscita della Santa. Infatti alla fine della celebrazione arriva il momento  aspettato: escono i reliquari della santa dal sotterraneo del Duomo, cioè lo Scrigno e il Busto reliquiario che appena saranno usciti, verranno messi sul Fercolo.

All’istante quando i cittadini vedono la statua della Santa sul busto reliquiario esplodono negli urli, cantano o gridano un versetto nel dialetto siciliano:[44]

 »Jè chiamamula ccu razia e ccu cori
ppi s’antaituzza bedda ca sta niscennu,
semu tutti, devoti tutti?
Citatini! Citatini!
Evviva Sant’aita!
Citatini! Citatini!«

 

»Chiamiamola con grazia e con cuore,
per sant’Agatuccia bella, che sta uscendo,
Siamo tutti devoti, tutti?
Cittadini! Cittadini!
Evviva Sant’Agata!
Cittadini! Cittadini!«

 

La manifestazione della fede quasi superstiziosa della gente meridionale è veramente coinvolgente, e caratterizza fortemente tutti gli eventi della festa. Lo Scrigno viene sempre accompagnato da grande rispetto ma nello stesso tempo da urli tremendi, come se richiamasse l’atmosfera di una festa pagana anticha della Catania di duemila anni fa.

Dunque i cittadini salutano la loro Patrona agitando i fazzoletti bianchi, urlando dei versetti, e cantando le canzoni della Santa. Ad esempio l’Inno popolare a Sant‘Agata:[45] 

 

»Inneggiamo alla martire invitta,
rifulgente di luce e di vita,
inneggiamo alla grande eroina
pressi l’ara cosparsa di fior.
Anelante di palpiti sacri,
si diffonde la gioia nel cielo
ed all’ombra del mistico velo
sorga l’inno festoso del cuor. 

Rit.: Tu che splendi in paradiso,
coronata di vittoria,
O, Sant’Agata la gloria
per noi prega, prega di lassù.
Esultante nei duri tormenti
luminosa nel carcere oscuro
ella affronta con animo puro
le minacce d’un uomo crudel.
Non ascolta le vane lusinghe
e promesse d’un sogno radioso
vince il fuoco e del cielo armonioso
l’innamora l’eterno splendor. (Rit.) 

Per i secoli vola il tuo nome
e risuona per i monti e sul mare
circonfuso di sole l’altare
il suo corpo conserva fedel!
Su! leviam cittadini l’evviva
a valor centenario, possente
a colei che prega morente
il Signor della vita immortal! (Rit.)

Dopo che lo Scrigno e il Busto avevano lasciato la chiesa, vengono posizionati sul Fercolo addobbato con i garofani di colore rosa e bionaco (simboleggiando la passione e la purezza del Martirio[46]), il quale li aspetta davanti al Duomo insieme alla massa dei fedeli vestiti nel sacco.
Poi tutta la folla inizia il “Giro esterno” seguendo la statua della santa, e la corsa dura tutta la giornata. Il cammino attraversa le parti periferiali di Catania, e ripercorre i luoghi della storia del martirio e della città. La prima sosta è la cosidetta “Calata da‘ marina“, quando si ricordano alle reliquie riportate a Catania da Costantinopoli nel 1126, dopo un furto successo nel 1040.[47] Poi un’altra fermata alla colonna della peste, dove i devoti rievocano la risparmiata dall’epidemia nel 1743, che è un miracolo ovviamente attribuito a Sant’Agata.[48]

Il Fercolo è trainato per i cordoni dai instancabili devoti, che cantano e gridano continuamente. Dai palazzi sotto cui passano si sentono le esclamazioni felici degli abitanti, che lanciano delle strisciate sui fedeli. Le strisciate sono bigliettini colorati con la scritta “W.S.Agata”[49]

Il pomeriggio arrivano alla salita dei Cappuccini (“a ‘nchianata de’ cappuccini“) quando il Fercolo viene portato alla chiesa Santa Marie della Speranza dei cappuccini che si trova proprio al luogo, dove Agata fu messa nel carcere e spirò.[50] La chiesa è preceduta da una salita ripida, dove a un tempo i partecipanti dovevano tirare di corsa il Fercolo fino alla chiesa, mostrando in questa maniera non solo la forza spirituale, ma anche quello del fisico. Oggigiorno da una parte il Fercolo funziona automaticamente, dall’altra parte la corsa è stata proibita dopo qualche incidente, quindi non c’è bisogno più della forza umana, è rimasto soltanto il gesto. Durante la festa ci sono due salite, “la salita dei Cappuccini” e “la salita di Sangiuliano” tra cui la più pericolosa è quella del Sangiuliano, siccome arrivandoci i devoti sono già stanchi, ed è una strada più lunga, più ripida.

Dopo una sosta alla chiesa il corteo va avanti, raggiungendo la Chiesa di Sant’Agata la Vetere, dove si ascolta una messa.e poi riprende il giro esterno, attraverso le parti antiche e altre zone densamente popolate, dove si rallenta il percorso. Perciò le continue soste dovute alle chiese e ogni altare dedicate a Sant’Agata, e per i devoti che offrono i loro ceri alla Patrona.[51] Inoltre devo menzionare che la strada che il Fercolo percorre non è sempre uguale, ma varia  ogni anno, secondo le “offerte”. Per un catanese credente significa un grande onore, se la Santa passa davanti a casa sua, è capace anche di “dare un’offerta in denaro” cioè pagare per far passare la Santa.

Il giro esterno si conclude  all’alba, quando rientrano nel Duomo, per riposarsi un poco e prepararsi all’ultimo giorno della festa.

5 febbraio – Il giro interno e la corsa delle candelore

Sugli eventi della notte dell’ultimo giorno non ho trovato delle descrizioni precisi, quindi lo scriverò a base delle mie esperienze personali, delle mie impressioni.

Alla tarda mattina viene celebrata una messa pontificale alla quale partecipano i fedeli, il cardinale, e dei vescovi siciliani. Dopo la messa c’è un’intermezzo nell’andamento della festa, bisogna riposarsi prima della  faticosa sera seguente.

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Verso le 5 di pomeriggio gli eventi si riprendono: il giro interno ha inizio. Il Busto reliquiario esce di nuovo dal Duomo, e comincia, la sua ultima passeggiata sul Fercolo. Oramai il centro della città è talmente affollata che si muove a fatica. Ci si mettono le bancarelle che vendono dei dolci, dei palloncini, e altra roba di fiera, l’atmosfera quasi richiama l’aria delle sagre ungheresi. Nelle pasticcierie preparano i dolci tipici della festa, per esempio le cassatelle, le cosidette mammelle di Sant’Agata (dolci che hanno la forma di un seno).

Intanto le grandi candelore si riuniscono in Piazza Stesicoro, e all’inizio della via Etnea i ceri grandi, con i loro portatori. Stanno preparando alla marcia in lungo di via Etnea e Via Caronda. La via Etnea (la strada principale della città) si divide in due strade al suo inizio che poi entrambe salgono verso l’Etna paralellamente: via Caronda su cui la folla sale, fino al Borgo, dove si gira tutto il corteo, e scende sulla strada parallella, in Via Etnea. (Sulla mappa si vede in rosso il giro interno, mentre in azzurro il giro esterno). Per superare questo piccolo cammino, a piedi  normalmente ci vuole un quarto d’ora – venti minuti. Invece alla festa, i partecipanti ci mettono quasi 10 ore, iniziano la marcia alle 6 di pomeriggio e finiscono il giro verso le 5 o 6 di mattina!

Mentre il Fercolo sta avanzando lentissimamente dal Duomo in direzione di Via Etnea, le Candelore sono già in movimento. Le grandi costruzioni (che pesano 400-900 kg) salgono in via ognuno con l’aiuto di 6 o 12 uomini i quali lo fanno avanzare con quella caratteristica danza caracollante, detto in siciliano: ‘a‘nnacata.

Dopo le Candelore anche i devoti iniziano il loro “pellegrinaggio” con i ceri grandi sulle spalle: secondo la tradizione questi ceri offerti devono essere alti e pesanti quanto la persona che li porta e che chiede qualcosa dalla Santa.[52] Di solito esagerano, e scelgono ceri che possono pesare ben 100 chili, perciò un portatore ha dei aiuti, dei accompagnatori, che lo affiancano durante la notte.

Quando rabbuia, i devoti accendono i loro ceri mostruosi, e iniziano la salita in Via Caronda. Con i ceri bisogna andare di corsa, però siccome questi oggetti sono pesantissimi, a ogni 20 metri devono fermarsi. I devoti fanno dei piccoli gruppi, e vanno assieme, fermandosi alle chiese e altre altare che incontrano per via. Arrivando a una sosta mettono giù le candele, e compiono un piccolo rito: nel gruppo ci sono portavoci, che urlano, gridano ad una voce fortissima a volte già a voce fessa delle preghiere siciliane, raccontando le vicende della Santa. Questo rito alla gente estranea sembra abbastanza confusa, invece in realtá gli urli tremendi sono ben strutturati, e infatti raccontano i tormenti della patrona. Mille volte si sente la domanda: »semu tutti, devoti tutti?« (siamo tutti, devoti tutti?) a cui i fedeli rispondono con un esortazione: „cittatini, cittatini” che oggi si è trasformato in un incomprensibile “cit, cit…” o “cettu, cettu…” (video in allegato)

Osservando questo rito da vicino, non sembra cattolica per niente. Quell’ultima notte delle processioni assolutamente si manifesta il carattere pagano della festa, e chiaramente dimostra che ha le sue radici nelle vane antiche greche-romane.

Comunque i devoti continuano a ripetere questo lungo la Via Caronda, poi verso le 3 o 4 della notte girando al Borgo, riprendono la Via Etnea, su cui scenderanno per finire il giro interno. Alle prime luci dell’alba arrivano alla Via Sangiuliano, a quest’ora tutti si sentono una stanchezza incredibile, ma non si rendono. Prendono un buon caffè ai bar della Via Etnea, per raccogliere i resti della loro energia per affrontare l’ultimo tocco della festa:”la salita di Sangiuliano

All’inizio della strada la folla si sistema, perché si sente l’avvertenza: “Donne, bambini e vecchi fuori!” Con “la salita di Sangiuliano” la festa arriva al momento topico, quando i devoti devono trainare il Fercolo in questa via molto ripida. Ad un tempo la macchina veniva trainata di corsa dai cittadini, ma oggigiorno, dopo un incidente mortale avvenuto nel 2001, la corsa venne proibita.[53] Comunque gli uomini si mettono in due file fittissime e con i due cordoni tirano su il Fercolo, accompagnato dagli applaudi dei cittadini.

Il canto delle suore Benedettine

            La festa si conclude con un bel riflusso davanti al monastero dei Benedettini, in via dei Crociferi, dove dopo il lungo e faticoso cammino arriva la massa dei fedeli easuriti per ascoltare il tradizionale canto delle monache. Le suore fino ad oggi non possono essere viste dai devoti, e intonano la loro antifona nella chiesa chiusa. Per questo i cittadini stanchi si calmano per un attimo, e si crea un silenzio assoluto, per sentire la canzone.[54]

Ovviamente a questo punto già tanti si sentono prorpio male, alcuni svengono, quindi questo momento suggestivo spesso viene interrotto dai devoti, che chiamano l’ambulanza. Poi ascoltato il canto delle sorelle, il corteo ritorna alla cattedrale e riconsegna alla cameretta sotterranea la Vara, lo Scrigno e i reliquiari della Santa.[55]

Analisi del questionario sulla partecipazione alla Festa di SantAgata

Dopo aver partecipato questa festa coinvolgente e impressionante, ero curiosa chi sono le persone che seguono, e comunque mantengono questa tradizione vecchissima, volevo indagare la struttura sociale di quella massa caotica. Io sono stata alla festa personalmente un anno fa (nel febbraio del 2013), ma l’indagine l’ho compiuta in questo anno (nel febbraio del 2014) via internet. Il mio scopo era di osservare l’età, l’istruzione, e la partecipazione dei partecipanti, tenendo conto anche delle opinioni idividuali.

Siccome non ho avuto la possibilità di rotirnare a Catania in questo anno, non potevo esaminare le opinioni sulla festa abbastanza ampiamente. Quindi il questionario ho fatto compilare con l’aiuto della pagina Facebook della festa[56], e alla fine gli intervistati sono stati in totale 77. Il vantaggio del sondaggio online era che  riuscivo a giungere tante persone siciliane relativamente velocemente, ma aveva anche degli svantaggi, che dovevo affrontare durante la lettura dei valori. Bisogna rendersi conto del genere del sondaggio: a causa del numero troppo basso degli intervistati, i risultati non sono rappresentativi. L’indagine serve come l’illustrazione alla festa, e non da dei dati precisi sociologicamente.

           

L‘elaborazione dei dati personali

Il sesso degli intervistati è equilibrato 44% femmine e 56% maschi (allegato 02.)

Dove abita?

Il mio gruppo destinatario erano le persone che abitano nella Provincia di Catania, quindi conoscono la festa e ne possono avere un’opinione, un’impressione. Penso che in gran parte io sia riuscita a comunicare con queste persone attraverso il questionario, siccome i soggetti intervistati provengono l’87% dalla Provincia di Catania.

 

A Catania 48 63%
In Provincia di Catania 18 24%
In Sicilia 4 5%
Oltre a Sicilia 6 8%

 

Dati personali 2. La sua età

Per quanto riguarda l’età degli individui il grafico a torta ci mostra già dei dati molto più variati:

tra 15-18 11 14%
tra 18-25 20 26%
tra 25-35 24 32%
tra 35-45 5 7%
tra 45-60 12 16%
oltre 60 4 5%

La maggior parte: il 72% è giovane, queste persone non hanno ancora compiuto i 35 anni. Forse non c’è da stupirsi, perché duarnte l’elaborazione di questi dati devo sempre rendermi conto del genere di questo sondaggio cioè che è stato fatto online quindi è normale che l’hanno compilato in prevalenza dei giovani.

Ultimamente é stato girato un filmato nell’ambito del progetto “Giovani Tradizioni” –  finanziato dal Dipartimento della Gioventù dei Ministri – che aveva lo scopo di «narrare attraverso l’occhio dei giovani il patrimonio culturale e folkloristico del nostro Paese». Il programma ha documentato «le numerose feste popolari dando voce ai giovani che si impegnano per mantenerle in vita.»[57] Comunque io ho visto la partecipazione delle nuove generazioni e si può leggere il loro entusiasmo sull’attività online (la pagina facebook con 9000 membri).

Quale è il suo grado di istruzione più alto?

            Cercavo di ragionare la mia opinione e la mia impressione che ho fatto partecipando alla festa, cioè che la maggior parte dei partecipanti sia meno istruita.

Qui non potevo usare il grafico a torta, perché non risulta dei dati precisi, bisognava invece fare una distribuzione tra i diversi gruppi generazionali, quindi conveniva mettere il grafico a colonne.

Le generazioni più attive erano il secondo gruppo tra 18-25 con 21 risposte, il terzo gruppo tra 25-35 con 22 risposte, e il quinto tra 45-60 da cui sono arrivate 12 risposte. Ne questi tre gruppi coinviene analizzare il terzo e il quinto gruppo, siccome al primo e al secondo gruppo  le riuscite corrispondono alla loro età (licenza elementare, diploma di maturità).

Sulla distribuzione percentuale si potrebbero mettere a confronto i diversi gruppi: nel terzo gruppo l’8% ha la licenza elementare, 59% il diploma di maturità, e 32% ha ottenuto la laurea. Forse a questo spicchio si vede la maggiranza dei sottoistruiti, ma rendendo conto anche del fatto che in Italia tanti studenti prolungano il periodo degli studi universitari, non possiamo fare delle affermazioni molto precise.

Osservando il quinto gruppo (tra 45-60) i risultati sono simili, a meno che qui troviamo anche delle persone che hanno solo la licenza media (8%). Il 17% ha la licenza elementare, anche qui la maggioranza ha la maturità 42%, e il 33% ha la laurea.

Purtroppo essendo in mancanza degli intervistati sufficenti non posso pervenire una conclusione esatta, nemmeno ragionare la mia opinione. Posso soltanto citare due opinioni personali dalla fine del quastionario, le quali sembrano contradditorie, ma forse spiegano meglio la struttura sociale dei partecipanti. «Troppa gente di basso livello, ma la festa è unica! », e «Il mio rapporto con la festa è di sentirmi parte di un popolo dove le classi sociali ,almeno per tre giorni, vengono annulate dalla condivisione della festa!»

L’elaborazione dei dati della partecipazione

 

            Lei partecipa alla Festa di Sant’Agata di questo anno?

 

Sí, tutti e tre giorni 35 46%
In parte 31 41%
No, ma la seguo su Internet/ in TV/ alla radio 6 8%
No 4 5%

L’assistenza a tutto il festeggiamento è abbastanza faticosa, e ci vuole tanto tempo libero. Ufficialmente i giorni della festa non si considerano giorni festivi, quindi non tutti possono permettersi di essere presenti a tutti i tre giorni. Perciò quasi la metà della gente attiva partecipa all’intera festa, cioè il 46%, e l’altra metà, il 41% soltanto in parte. Pochi sono degli intervistati che seguono gli eventi con l’aiuto dei massmedia, ma probabilmente tanti lo fanno della generazione più vecchia, quelli che non possono uscire di casa. Oggigiorno i canali locali della TV e della radio informano il pubblico, e naturalmente anche su internet ci sono tanti canali attivi, e non dimenticando sulla pagina Facebook della festa (già menzionata)[58], la quale conta più di 9000 seguaci.

 

Regolarità della sua partecipazione alla festa:

Il 68% degli intervistati ci partecipa ogni anno, e il 20% ha già partecipato parecchie volte alla festa, e la minoranza è quello disattivo che si è presentata una-tre volte o mai all’evento.

Invece quella bassa percentuale che non ha mai partecipato alla festa, o puramente 1-3 volte, su 9 persone 6 sono laureati, quindi hanno la formazionione più alta della media dei partecipanti.

Partecipo in ogni anno alla festa 52 68%
In vita mia ho già partecipato parecchie volte alla festa 15 20%
In vita mia ho partecipato 1-3 volte alla festa 6 8%
Non ho mai partecipato alla festa 3 4%

Se partecipa, in che modo lo fa?

Spettatore 24 33%
Devoto (senza l’abbigliamento tradizionale) 22 30%
Devoto (con l’abbigliamento tradizionale) 27 37%
Altro 0 0%

La massa della gente è molto varia durante la festa. Ci sono dei cittadini che partecipano intensivamente e si mettono anche il sacco agatino. Poi ci vanno altri che forse non indossano l’abbigliamento della festa, ma partecipano lo stesso. Ho dato 4 possibilità da rispondere, di cui i soggetti intervistati hanno optato per tre, e questi risultati si dissolovono in pari misura.

  • La categoria Spettaore può essere separata dalle altre due, perché come ho notato durante l’elaborazione della festa, Devoto nel loro linguaggio vuol dire religioso, quindi uno che partecipa come Spettatore forse non si sente religioso, ma lo attira l’atmosfera e la forza folkloristica della festa.
  • Alle altre due sezioni Devoto senza il sacco agatino, e Devoto con l’abbigliamento tradizionale si parla insomma della gente chiaramente religiosa e qui i risultati sembrano più o meno uguali. Entrambi di due gruppi sentono tanto la religione quanto la tradizione della festa. Magari coloro che si mette il sacco bianco, ritiene importante anche l’apparenza, la forma della tradizione che si manifesta in questo modo.

Se partecipa, perché?

Visto che la cerimonia comprende tanti momenti ed elementi più pagani che cristiani, ero curiosa se ci fosse qualcuno che diversifica la parte religiosa dalla parte tradizionale.

Per tradizione 16 21%
Per religione 10 13%
Per tradizione e religione 47 62%
Altro 3 4%

Insomma la maggioranza, il 62% ha detto che ci partecipa per tradizione e religione e questi risultati corrispondono più o meno a quelli sopra menzionati, al 67% di cosidetti Devoti. Il 21% ci partecipa solo per tradizione, non considerando l’aspetto della fede, ma con lo stesso rispetto verso i religiosi. Invece da parte del 13% che sceglie la partecipazione solo per religione, forse il rispetto non è corrisposto «È una festa che sento soprattutto dal punto di vista religioso, ma secondo me tanti la seguono solo per tradizione e folklore, come momento di socialità e allegria, ho paura che prevale maggiormente questo aspetto su quello religioso» – si lamenta un cittadino dal gruppo religioso. (allegato degli opinioni liberi)

 

L’elaborazione dei dati della consumazione

 

            Durante la festa appariscono gli immancabili bancarellisti (spesso venditori abusivi) creando un’atmosfera da mercato. Pochi sono i prodotti a tema: le candele i quadri o i dipinti. Piuttosto venditori di zucchero filato, di torrone, di palloncini Hello Kitty, e degli oggetti talmente importanti per la festa come per esempio la spada laser. Se io fossi catanese e andassi alla festa, mi darebbe davvero fastidio la presenza di queste bancarelle, che non c’entrano nulla con la spiritualità della festa. Allora volevo fare una domanda su questo tipo di consumazione.

Lei compra qualcosa dalle bancarelle durante la festa?

41 53%
No 27 35%
Secondo me le bancarelle danno fastidio alla spiritualità della festa 5 6%
Altro 4 5%

La maggioranza 53% consuma, ed erano  relativamente pochi per cui la presenza della vendita

sia un elemento fastidioso. È chiaro: se c’è l’esigenza, funzionerà il commercio. Poi come ho scritto prima (capitolo: Le origini della festa e l’evoluzione del culto), già dal medioevo si presentarono i bancarellisti alle feste solo che allora vendevano la roba dell’epoca.

 

Opinione libera

            Alla fine del questionario lasciavo spazio per esprimere l’opinione personale sull’evento e il rapporto con la Santa. Leggendo questi commenti si percepisce l’ambiguità della festa. Adesso ne questi citerò alcuni.

 

«È una festa che sento soprattutto dal punto di vista religioso, ma secondo me tanti la seguono solo per tradizione e folklore, come momento di socialità e allegria, ho paura che prevale maggiormente questo aspetto su quello religioso »

«Il mio rapporto con la festa è di sentirmi parte di un popolo dove le classi sociali ,almeno per tre giorni, vengono annulate dalla condivisione della festa!»

«I miei ricordi sono legati alla processione lungo la salita dei cappuccini. il candore dei devoti vestiti con i loro sacchi bianchi, e il coro incessante che accompagna la salita alle parole:” cittadini, cittadini semu tutti divoti tutti” la risposta della folla: “cettu, cettu, cittadini viva Sant’Agata” »

«Per me Agata è una sorella,non riesco a starle lontana,ho bisogno di lei per pregare Dio »

«Poco di religioso, quasi nessun simbolo cristiano, nessun crocifisso nella processione, quasi nessuna preghiera, canto o rosario »

«Ci vado solo per un voto che ho fatto e intendo mantenere fino alla morte »

«Rispetto e apprezzo la storia del suo martirio pur non essendo un devoto né un religioso. »

«Legame tra cristiani coetanei e concittadini »

«È un turbinio di sensazioni e emozioni uniche davvero inspiegabili.»

«C’è sempre un’enorme e fastidiosa confusione »

«La amo perchè mi ha aiutato in un momento difficile, e io le sarò in debito per tutta la vita »

 

 

Analisi dei articoli

I problemi del 21° secolo

 

Accanto ai lati positivi e affascinanti, la festa imposta anche dei problemi gravi a partire dalla presenza di migliaia di persone, il pericolo dei ceroni accesi, la cera sciolta sulle strade, i venditori abusivi fino ai sospetti sull’accaparramento delle candelore da parte dei clan mafiosi[59]; insomma la confusione che si diffonde in questi giorni nella città, e perturba la vita stessa dei cittadini.

La massa della gente sempre causa dei problemi, ma questi possono essere risolti dalle forze dell’ordine. Negli ultimi tempi invece c’è un dibattito acceso sulla legalità della festa che tocca dei questioni più delicati: la mafia e i costi della festa.

«I clan – lo hanno detto alcuni pentiti – sarebbero interessati alla gestione delle candelore.»[60] scrive la pagina web www.ienesiciliane.it, e sulla stessa cosa avverte un altro sito locale www.argocatania.org «Dalla gestione dei “cerei” si ricavavano vantaggi economici o sotto forma di “offerte” settimanali, a cui si aggiungeva poi il regolare “pizzo”, o sotto forma di pagamento di una somma giornaliera che di fatto rappresentava la modalità dell’estorsione.»[61]

È un’altro problema grave della festa che gli eventi si svolgono sulle strade principali del centro. Prima della festa queste strade vengono ricoperte da segatura affinché la cera non sciolga proprio sul pavimento. Ciò malgrado qualche cera tocchi le strade e quindi nei giorni seguenti le vie vengono chiuse, poiché i collaboratori rimuovono la cera, evitando così i futuri incidenti stradali. Per svolgere questo lavoro gli operai ci mettono 2-3 giorni, durante i quali i negozi considerano una perdita significativa.

«”La rimozione della cera poi (…) comporta la chiusura di alcune vie come la via Etnea, con gravi conseguenze sul commercio, settore già in profonda crisi”. Sono infuriati, infatti, i titolari degli esercizi commerciali che affacciano lungo le strade percorse dalla processione. “Nei giorni in cui le strade sono chiuse – hanno lamentato in molti – riusciamo a guadagnare meno di 50 euro in una giornata”. » – scrive Melania Tanteri sui commercianti indignati.[62]

A partire dagli anni 2000 la celebrazione è stata già regolata tante volte, ultimamente nel 2011 veniva esposto un Regolamento[63] confermando l’incarico del “Maestro del Fercolo”, dei “Responsabili” e dei “Collaboratori” per assicurare meglio l’andamento della processione e comunque per renderla più pulita e trasparente. Oggigiorno la marcia va accompagnata dai carabinieri, dai vigili del fuoco e naturalmente giunge sul posto anche l’ambulanza.

Comunque ci sono ancora problemi da affrontare a causa della festa e col passare del tempo ce ne saranno sempre che trasformeranno piccole parti della celebrazione, continuando così l’evoluzione della festa, ma conservando la tradizione e l’essenza della festa.

 

 

Sommario

 

Durante il mio lavoro, ho trovato ancora numerose vie da percorrere sul tema della festa. Quasi  ogni capitolo conteneva almeno due elementi che si potrebbe esaminare profondamente.

Al capitolo Le origini della festa, e l’evoluzione del culto ritenevo un argomento molto interessante le radici antiche della festa che secondo me hanno un ruolo maggiore, di cui i partecipanti catanesi non si rendono conto e gli elementi rituali spesso spiegano come la manifestazione della fede e della devozione.

Nel prossimo capitolo, quando scrivo in dettagli dello svolgimento della festa cercavo di interpretare fedelmente l’atmosfera e l’ambiente delle celeprazioni ed al lettore possono essere di aiuto le foto allegate e il video.

Alle analisi del quastionario avevo problemi con il numero troppo basso degli intervistati per cui non riuscivo a dare dei risultati rappresentativi per quanto riuarda l’istruzione dei partecipanti. Invece altre risposte mi hanno fatto riflettere sulla relazione tra fede e tradizione, che in questa festa popolare (e penso come in tanti altri in mondo) mostra una strana mescolanza. La rappresentazione dei problemi del nostro secolo servivano per far vedere anche il lato poco scuro dell’evento: gli affari sporchi della mafia, e le difficoltà dell’organizzativo.

Forse è normale che nel corso della mia ricerca ho scoperto sempre nuove vie da studiare, ma spero che nel futuro una di queste vie potrà essere l’argomento della mia tesi della laurea specialistica.

Insomma la festa esiste da più di 1600 anni, a l’omaggio verso la Santa non diminuisce. Tanti cittadini si entusiasmano, e ci vanno in ogni anno, ed è difficile separare la fede, la superstizione e la tradizione negli atti della festa. Ci sono alcuni che non la amano tanto, e si lamentano nei giorni della festa, ma la rispettono per forza. Un straniero cerca di capire che cosa significa la festa ai partecipanti, e questo è difficile, ma una cosa si perceisce subito: la festa unisce la città e fa parte sostanziale dell’identità catanese.

[1]
Tempio, A. Agata cristiana e martire nella Catania Romana. Giuseppe Maimone Editoria,Catania, 2003, p.10.

[2]          Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, p. 14.

[3]          Tempio, A. Agata cristiana e martire nella Catania Romana. Catania, 2003, pp.12,13,

Agata „La Buona”, http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/santagata/la-vita/Agata_La_Buona.aspx, 16.02.2014

[4]          Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, p.14.

            http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/santagata/la-vita/Agata_La_Buona.aspx

[5]          Tempio, A. Agata cristiana e martire nella Catania Romana. Catania , p.13.

[6]          Tempio, A. Agata cristiana e martire nella Catania Romana. Catania , p. 13.

[7]     http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/santagata/la-vita/La_fuga_e_l’arresto.aspx

[8]          Tempio, A. Agata cristiana e martire nella Catania Romana. Catania, p.14.

Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, p. 20.

[9]          http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/santagata/la-vita/In_casa_di_Afrodisia.aspx

[10]        http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/santagata/la-vita/In_casa_di_Afrodisia.aspx

[11]        Tempio, A. Agata cristiana e martire nella Catania Romana. Catania , pp.17., 20., 22.

[12]  Guzzone, G. SantAgata – La storia, il culto, Catania, Boemi, 2013. p. 42.

[13]        Tempio, A. Agata cristiana e martire nella Catania Romana. Catania , p. 24.

[14]        Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, pp. 24, 26

[15]
Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 33 Decio (1987) Silvana Pettenati

[16]        Colonna Romano, M. La vera deità catanesa. Catania, Boemi, 1658 p. 7.

[17]        Brown, P. A szentkultusz kialakulása és szerepe a latin kereszténységben. Budapest, Atlantisz Könyvkiadó, 1993 p. 40.

[18]        Colonna Romano, M. La vera deità catanesa. Catania, Boemi, 1658 p. 11-12.

[19]        Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, p. 67-68.

[20]        Hartmann H., Wetzel C., Szicília. Budapest,  Magyar Könyvklub, 2003, p.116

[21]   http://it.wikipedia.org/wiki/Festa_di_Sant’Agata 07. 04. 2014

Guido A., Sant‘Agata Vergine e Martire Catanese, Catania, p. 32.

[22]        Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, p. 68.

[23]   http://www.placidasignora.com/tag/iuno-februata/ – Placida Signora, 12. 02. 2012

[24]        Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, p.69.

[25]   http://it.wikipedia.org/wiki/Festa_di_Sant’Agata 07. 04. 2014

[26]        Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, p.71.

[27]        Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, p. 70.

[28]        Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, p. 99.

[29]        Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, p. 101.

[30]        Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, p.76.

[31]   http://it.wikipedia.org/wiki/Festa_di_Sant’Agata#La_festa_ai_giorni_nostri, 06.03.2014

[32]   http://it.wikipedia.org/wiki/Festa_di_Sant%27Agata, 10. 03. 2014

Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, pp. 77-82.

[33]        Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, p.85.

[34]        Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, pp. 100-102.

[35]   http://it.wikipedia.org/wiki/Festa_di_Sant%27Agata, 10. 03. 2014

[36]   http://it.wikipedia.org/wiki/Festa_di_Sant%27Agata 10. 03. 2014

[37]        Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, p. 99.

[38]        Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, pp.94-95.

[39]        Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, p.94.

[40]   http://it.wikipedia.org/wiki/Festa_di_Sant’Agata#L.27illuminazione 16. 03. 2014

[41]   http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/santagata/la-festa-di-sant-agata/La_aprocessione.aspx 16. 03. 2014

[42]   http://it.wikipedia.org/wiki/Festa_di_Sant’Agata#L.27illuminazione 16. 03. 2014

[43]   http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/santagata/la-festa-di-sant-agata/La_aprocessione.aspx 16. 03. 2014

[44]        Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, p.91.

            http://it.wikipedia.org/wiki/Festa_di_Sant’Agata#L.27illuminazione 16. 03. 2014

[45]  Guido, A. Sant‘Agata Vergine e Martire catanese, Catania, 2004. p. 55.

[46]        Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, p. 102.

[47]   http://it.wikipedia.org/wiki/Festa_di_Sant’Agata#4_febbraio_-_Il_giro_esterno_della_citt.C3.A0 16. 03. 2014

[48]   http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/santagata/la-festa-di-sant-agata/La_aprocessione.aspx 16. 03. 2014

[49]        Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, p.103.

[50]        Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, p.104.

[51]        Privitera, S. Il libro di S. Agata. Catania, Boemi, 2001, p.106.

[52]          http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/santagata/la-festa-di-sant-agata/La_aprocessione.aspx

[53]   http://it.wikipedia.org/wiki/Festa_di_Sant’Agata#5_febbraio_-_Il_giro_interno 22. 03. 2014

[54]   http://www.cataniatoday.it/cronaca/sant-agata-canto-suore-clausura.html, Dorotea Lo Greco, 04. 02. 2012

[55]   http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/santagata/la-festa-di-sant-agata/La_aprocessione.aspx 22. 03. 2014

[56]   https://it-it.facebook.com/pages/Festa-di-SantAgata/273675734149 30. 03. 2014

[57]   http://www.comune.catania.it/informazioni/cstampa/default.aspx?cs=29329 Catania, 03/02/2013

[58]   https://it-it.facebook.com/pages/Festa-di-SantAgata/273675734149 30. 03. 2014

[59]          http://www.argocatania.org/2012/02/03/un-decalogo-per-la-festa-di-santagata/ 02. 03. 2012,Un decalogo per la festa di sant’Agata

[60]           http://www.ienesiciliane.it/cronaca/13604-religione-e-affari-di-cera-o-affini-festa-s-agata-il-comitato-per-la-legalita-pone-punti-interrogativi.html 08. 02. 2014, Religione e affari di cera o affini, festa S.Agata: il “comitato per la legalità” pone punti interrogativi

[61]        http://www.argocatania.org/2012/02/03/un-decalogo-per-la-festa-di-santagata/ 02. 03. 2012,Un decalogo per la festa di sant’Agata

[62]          http://www.qds.it/15088-catania-sant-agata-gli-incalcolabili-costi-del-centro-storico-paralizzato.htm 11. 02. 2014, Quotidiano di Sicilia, Melania Tanteri – Catania – Sant’Agata, gli incalcolabili costi del centro storico “paralizzato”

[63]   https://app.box.com/s/d8e9o1chvgjjvxu7zk9d  05. 03. 2014.

 

 

Bibliografia

 

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http://www.placidasignora.com/tag/iuno-februata/

 

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http://www.comune.catania.it/informazioni/cstampa/default.aspx?cs=29329

 

 

 

Videók

Sant’ Agata: Tg La Sesta intervista il Maestro del Fercolo Claudio Baturi

https://www.youtube.com/watch?v=Ew2DSVAXI5E

 

 

Articoli:

http://www.qds.it/15088-catania-sant-agata-gli-incalcolabili-costi-del-centro-storico-paralizzato.htm

Quotidiano di Sicilia, Melania Tanteri – Catania – Sant’Agata, gli incalcolabili costi del centro storico “paralizzato” , 2014.02.11.

http://www.argocatania.org/2012/02/03/un-decalogo-per-la-festa-di-santagata/

– REGOLAMENTO

http://www.ienesiciliane.it/cronaca/13604-religione-e-affari-di-cera-o-affini-festa-s-agata-il-comitato-per-la-legalita-pone-punti-interrogativi.html 08. 02. 2014, Religione e affari di cera o affini, festa S.Agata: il “comitato per la legalità” pone punti interrogativi

Borbély Szilárd Halotti pompájáról

„Nincs jelen, csak múlt van és jövő.”

 (Orosz arisztokrata kijelentése az 1920-as években.)

Valami formáltság kívánkozik a másként ki nem fejezhető konkrét jelentésekhez. Nincs különös álmom. Nem a kipróbált, túlérett, megkopott keretek. Van, hogy a szenvedésbe való belefáradás pro-vokálja ki ezt. Borbély Szilárd nyomot talált ehhez, de elhasznált metaforához lyukadt ki, ráadásul ezt is össze-vissza csavargatta, apokrifokat buzgólkodott, Beney Zsuzsa 1) módjára, mondjuk nagyobb formai változatossággal. Halál. Hatalom, nagy a mitológiája is. Psziché. Görög ismerős. Újra olvasva, s ezúttal a meggondolatlanságokat magunk mögött

Görög ismerős. Római istenek, magyar caddicok, keresztény mitologémák, fiziológiás oldat, haszid és kibernetika. Kultur-alaktani összetettség. Olykor falssá lesz, nem emel katarzisig, kioltja az inkább a forrásokra való ráismerés igyekezete. Annyi elég, nem lehet az ember túlolvasott egy ilyen könyvvel, de az optikát végtelenre állítani, eltávolodnánk a költő szándékától. Analógiát könnyű találni, a megváltó áldozata kihívja minden ártatlan halálával történő képzet (és nem csupán képzet) társítását. A költő édesanyjának elvesztésekor sem történik másként. Az indítékok, bárhogy is törekszünk a biográfiától való “megtisztításra”, alkotáslélektanilag felérnek az élettani ösztönök erejével. Az olvasat jellemzi az olvasót. Nem tudom minden hasonlított legmagasabb, minden egyéb bűnt maga mögé utasító narratívájául elfogadni a 20. sz. botrányát, a holokausztot. Ám a Halál születik, akár erőszakos, akár életünkkel érlelt, kihordott. Távozásunkkal és abból születik a nélkülünk-való. A gyász ezt a születést „ünnepli”, ennek áldoz.

A szekvencia értelmezése. Utalok a műszó zenei jelentéstartományára. Konkrét! Ami a számvilághoz tartozik. Oda tartozik, egyébként túlterhelt a meghívásokkal. Zenei, élettani, kártyás, nyelvészeti, orvostudományi, irodalomtudományi stb.  A mű-egész, a mű-projektum kulcsa sokkal bonyolultabb tollazatú, mint a Borbély Szilárd által fejtegetett emberagyi kísérlet(?) révén zenei hangzásra transzponált emberi fájdalom (Mintázatok zenéje, 79. p.). Az örök kérdés: elhisszük-e mindezt igaznak, vagy (blaszfémia, ó!) bizonyos magasabb rendű tudatmódosító alkalmakul fogjuk fel az irodalmat – a poézist úgy  általában. Semmi okunk Borbély Szilárdnak, vagy bármely költőnek ilyen szándékot tulajdonítani. A műalkotást végül is egy erős morális összetevő megléte különbözteti („el”, ahogy divatos mondani) az ideológiáktól. Ősi és modern rétegezettség, ezt a közhelyet, meg hasonlókat, sokszor leírtunk az elmúlt század során, gyakran anélkül, hogy bizonyos részletekre felfigyeltünk volna. Példák: A barokk színeit szemlélve nem olyan sötét, a középkor szellemi teljesítményét nézve nem olyan szégyellnivaló, a bizánci egyházi zene és művészet egyenrangú Rómáéval. Nem tartunk attól, hogy még a Picasso-mű sem értelmezhető helyesen az emberiség kultur-kincsének egésze nélkül?  Könnyen lehet, a szinkretizmus az egyetlen szemszög, amely számára megelevenül a Guernica vagy Borbély Szilárd Halotti pompája. Szinkretizmus. Amely a vallásokban tiltott. (Fogalmakat emelek föl és tiltok be?) És értelmetlen, de az idő falai mögött.
A szekvenciák, meglehet, a zeneire vonatkoznak, a könyv, a könyvekből álló kötet,  azonban kénytelen-kelletlen olyan konkrétumok hordozója, amelyek hangszeresen nem közelíthetők meg. A kézen-fekvés. Ami térben és időben és – betűben. A bestialitás elhelyezése a kultuszban. Megbosszulja magát, hogy olyan nyer bocsánatot, akit nem ismerünk, akár a gyilkosról, akár a halálról van szó. A halottak sikerszükséglete. „A halott születésnapja” – írja Robert Musil (In: Naplók. 1913. június 1.). Szilágyi Domokos pedig a Halottak napját nevezi „halottak születésnapjá”-nak (Öregek könyve). Ismét egy szekvencia. Egyik naplórészlet, líra a másik. Látni fogjuk, az ismétlődések más-más fokon valósulnak meg a könyvben.

Az első könyv (Nagyheti Szekvenciák) római számokkal jelölt része (I-XV.) folyamatos olvasása más, tkp. a siratás folyamatosságát biztosító versek (Dies Irae tétel?); ugyanennek a könyvnek a címezett darabjai alcímek nélkül , továbbá/és a könyv alcímekkel is ellátott darabjai elkülönülten is olvashatók-értelmezhetők.(Miként a Kabbalának is értelmezési síkjai vannak, avagy a modern költészetben Octavio Paz lírai objektuma (Blanco = Fehér. Ford.: Somlyó György) négy olvasatban is megközelíthető.) A magyarázható és az értelmezhető szétválasztása már T. S. Eliotnál, illetve az imént említett mexikói költőnél is fölmerül!
Gyaníthatóan lapokat tesz elénk a kötetben a költő Borbély Szilárd, akár egy kártyajátékban; nevezzük ezúttal néven a ténykedést, hiszen a könyv utolsó verse, Az Akasztott Ember már konkrétan a Tarot egyik (XII.) lapjára utal. Vegyük fel ezt a lapot, tekintsük meg jelentését, miután előrebocsátjuk, hogy a XII a számmisztikában a világ száma! A sokféle – egybehangzó – kommentár közül Hamvas Béláéból két mondat: „Ma legnagyobb erő ahhoz kell, hogy az ember saját egoitását hatályon kívül tudja helyezni. […] A vallás nyelvén ez, az áldozat.” (Hamvas Béla: A tarot.) Elolvasva számoljuk meg az opusz strófáit! 11  versszak, 45 sor. Visszafordulást sugall. (A XI. tarot-lap felirata az Igazság, az ábrázolt nőalak kezében kard és mérleg van.) Megfordulásra hív a cím nélkül beidézett egyházi ének magyar fordítása, amelyben szóba kerül a XIII. lap, a kaszálgató csontvázzal ábrázolt Halál. Ezzel zárul az első :

“Vagion világban egy kasziás
Halál nevü nylas puskás,
Nylayt futtattya,
Kaszat jártattya,
Haraggal dühüdeot,
Jadzik az fü közöt,
Od magad, szep virágoczka.”
(Régi Magyar Költők Tára XVII / 7. , 307.)

Mert meg kell jegyezni, a két szakaszból álló ének első része (!) került  az (első!) könyv végére, a második versszakasszal pedig a könyv, a Nagyheti Szekvenciák  élén találkozunk.  Nem tévedés, ez tudatos szerkesztés,  mágikus eljárás. Nem is ismeretlen. Lásd: “Szita, szita, péntek / Szerelem csütörtök / Dob szerda.” De műköltészetünk egyik darabjában, Juhász Ferencnek a múlt századi kötetében (Harc a fehér báránnyal, 1965.) Babonák napja, csütörtök: amikor a legnehezebb címmel verset találunk. “A harmadik napon a legnehezebb, a harmadikon” írja e versében Juhász a csütörtökről. Kultúrkörünkben a csütörtök a hét negyedik napja, csak visszafelé, “babonásan” számlálva a harmadik. (Ha „halott van a háznál”, némely helyeken a tükröket megfordítják.)

A gyilkos és az áldozat ezzel az inverzióval körforgásszerű lesz, sugallja a kötet-egész első könyve, azaz a gyilkosság  – mint a létfeltétel allegóriája – mindig megtörténik.  A rémálom mintha nem múlna. A következő rész (Ámor & Psziché-Szekvenciák) negyven szonettje is tágítja a drámai kört, a jövőt is bevonja az allegória működtetésébe. Az agykísérletek kibernetikai „leképzései”, a kopogó-tudományossá csupaszított „szonett-nyelv” lapjai makacsul az alaptörténésre, a gyilkos és az áldozat viszonylatába állítják az allegóriát. A fiziológiás oldatba helyezett emberi agy megnevezi az áldozatot: Psziché. (A kutatónő valódi nevétől függetlenül.) A kötet-egész harmadik része, a Haszid Szekvenciák három caddic megverselt érvelésébe-diskurzusába fűzött haszid (héber) teremtésmítosz végigjátszása .

Az első emberi teremtmény, Reb Teitelbaum (rabbi) elbeszélése szerint, csak árnyék volt, amely – nem lévén külön éj és nappal – Fény lehetett, s emberként ott álldogált a teremtésben, amit az Isten nem nagyon értett. Aztán kapcsolt, és „keresett neki testet is, hogy le tudjon pihenni.” Reb Taub (rabbi) narrációjában viszont csupán lelket teremtett Isten, s ez a lélek „A bal lábát // hol keresztbe tette, hol meg kinyújtotta.” A Mindenek Ura ismét kapcsolt, és „teremtett neki testet is, ami a földhöz kötötte.” A testet Ruachnak(!) nevezte, ezt Évának is nevezik, mint megállapítja a rabbi-narrátor. Jogosan, hiszen nem csak lélek (pneuma) jelölésére szolgál a héber Ruach (רוּחַ), hanem ez a 3 betűjel a lelkiismeretet, a szívet is jelöli. A szonettpár, ahol mindezt leírja Borbély Szilárd (140, 141. p.) iróniája itt megfelel a haszid, népi-profán felfogásnak, akár csak profanizáló magyar teremtéstörténetet hallgatnánk / olvasnánk. Ha már itt tartunk (a profanizálásnál ti.) meg kell jegyeznünk, hogy a három magyar haszid csodarabbi elmélkedése a költő képzeletében játszódik, tehát megengedhető, sőt, művészileg kézenfekvő, hogy a később, más vidéken született (és tevékenyen élt) fölvetésére a már halott válaszol, elhunyt mester a tanítványnak. A pro-fán-ból így lesz, lehet szakrális  „szokatlan beszéd”.
Aztán a bölcsek beszéde elhallgat, és az ugyancsak történeti, de kegyetlen, ha lehet az iszonyra távlati jelzőt használni: köznapiasított iszony következik. A Halotti pompa harmadik könyvének  huszonkét számozott része ugyan kiadja a teljes játszmához szükséges lapokat (Tarot), de más-más fokon bejelenti, megmutatja  (a szám-világban is totálissá váló) átfogó, teljes apokalipszist. Vagy éppen a Kozmoszban játszódó folyamatábrát, annak elérhető, összes rajzolatával, metszetében.

Jegyzetek

1) Beney Zsuzsa: Versek a labirintusból. 1992.

2) VI. Testben élni 82. oldal. „Mert testben élni maga a halál.” Ld. Platón: Phaidón, ill. Kratülosz! A szóma  (test) és a széma (sír) szóvá tevése és nyelvi játékba vonása.

3) 103. oldal.  XXVII A pillangó útjának emblémája szonetthez: Phanés (Első Létező az orphikus mitológiában), Kronos – Phanész – Nüx – Uranosz – Kronos [„a gyilkos Kronos” itt a mitológián túli konkrét utalás sejlik fel] – Zeusz – Dionüszosz mitológiai nemzedékvonal), Aithér (a ragyogó, felső levegőég istene, Erebos és Nüx fia)

4)„123. oldal: A Haszid-szekvenciák három szereplője a magyarországi haszidizmus három nagy alakja: Taub Eizik (1751-1851) kállói, Mózes Titelbaum (1759-1841) sátoraljaújhelyi és Friedmann Hersele (1808-1874) olaszliszkai caddikok, akiket csodarabbiknak tekintettek és ma is szentként tisztelnek; sírhelyeikhez évente elzarándokolnak.” [In: Halotti pompa:199. p.]

5) Krisztológiai episztola 147. oldal T[h]eofilus: [a.m. Istent szerető] Művelt férfi, akinek Lukács az Evangéliumot és az Apostolok cselekedeteit ajánlotta. (Bibliai nevek és fogalmak. Bp. 1988, Primo K.)

6) 168. oldal. Az „Emlékezés Szombatja” itt a.m. az Emlékezés megpihenése. Azaz: Felejtés. (Itt felébred a görög mitológia egyik istennője, az Emlékezés – Mnemosyne ellenpárja: Lesmosyne.

7) Ámor és Psziché római-görög mitológiai hős és hősnő. Itt ld. L. Apuleius: Metamorhoses. Nálunk Révay József fordításában Aranyszamár c. antik regény szereplői.

 

A szív alakú doboz

 

Az évek hozzászoktatnak, hogy a fulladozásod is szenvtelen arccal nézzem. Átugrani nem lehet a közöttünk lévő árkot, a múltkor is úgy tört el a lábam. Aki meghal, azt legalább el lehet temetni, de te folyton kitakarózol, mintha még lenne miért. Emlékszel arra a történetre a kutyáról, amit könyörögtem, hogy ne mesélj végig, de csak mondtad tovább? És hiába fogtam be a fülem, hallottam az egészet? És hiába fordultam el, mindig láttalak?

Rád gondolok, amikor kitágul a téli szántóföldek anyaméh-sötétsége. Szégyent vetettél, kivirágzott.

Ahogy a téveszmék rácsai közül visszanézel. Vigyáznom kell, hogy ne menjek utánad.

A szavak nem jutnak át azon, ami közénk került. De mit is mondhatnék még. Megszoktam, hogy nem fogsz szembejönni az utcán. Egy ideje nem is kereslek. Kidobtam, ami a szekrényben lógott felakasztva, a régi kabátot.

De igen, talán ezt. Hogy neked kellett volna kihívni a mentőt, de te nem tudtál semmiről, csak ültél belecsavarodva.

És hogy olyan lettem melletted, mint a százéves ereszbe gyökerező fák, amik négy emelet fölött kapaszkodnak talaj nélkül, és nőnek.

(2016)

 

 

(Illusztráció: Vajda Réka)

„Talán az te halálod volt az én vétkem”

Nényei Pál: Ne bántsd a Zrinyit!

A magyar irodalom olvasói között sokáig hallgatag kisebbséget képviseltek a Zrínyi-rajongók. Akik nem tudósai ugyan a régi magyar irodalomnak, de akiket elbűvölt, hogy a Szigeti veszedelem az egyik legnagyobb magyar erotikus költő életművébe illeszkedik. Akik különösnek tartották személyesség, szexuális intimitás és egyetemes mondanivaló összefonódását, akik ha nem is értették, de izgalmasnak találták a Syrena-kötet egész koncepcióját.
És miért is hallgatag ez a kisebbség? Nemcsak azért, mert nem igazán sikkes dolog régi költőket olvasni. Hanem mert a Syrena-kötet kapcsolódási pontjait nem könnyű ma bármiféle olvasói elvárással összeegyeztetni: Zrínyi erotikus, de mélységesen politikai, egyetemes (hatalmas mitológiai, asztrológiai, teológiai összefüggésre épülő) és mégis nemzeti. Olyan komplex alkotás, ami a barokkos allegorizálás miatt mégsem felel meg a mi sokértelműséggel kapcsolatos olvasói elvárásainknak.
De mi az az „egy-értelem”, amire az allegória utal? Vajon megfejthető-e? Nényei Pál, Az irodalom visszavág szerzőjének lenyűgöző Zrínyi-monográfiája épp erre tesz ígéretet.
Ám ha megfejthető, kérdezhetjük, akkor hogyan lehet, hogy eddig nem vették észre?[1] A Zrínyi-kutatók egy része sokáig csak egy ragyogó hadvezér és államférfi költői kísérletének, egy grandiózus politikai terv illusztrációjának tekintette a Szigeti veszedelmet, amire a Nagy Dédunoka egészen nyúlfarknyi időt (egész pontosan egy telet!) fordított. Természetesen tudjuk, hogy az eposz nem önmagában jelent meg, hogy a Szigeti veszedelem előtt és után nyugtalanítóan szenvedélyes szerelmes versek is helyet kaptak, de ezeket a verseket a Zrínyi-filológia sokáig amolyan „mellékletként” könyvelte el. Miközben persze a kötetkompozíció világirodalmi előképét is kereste, mintha a hatások feltárása helyettesíthetné a mű értelmezését.)
A magyar irodalomtörténet-írás amúgy is hajlamos volt mindig önéletrajzi ihletésű költeményeknek, amolyan főúri veszedelmes viszonyok tükrének tekinteni a Zrínyi-verseket, és iszonyatos nagy forrásanyag bevonásával történelmi figurákként azonosítani a versek szereplőit (Vadász, Viola, Arianna, Hajnal, Titirus, Licaon stb.) Az ilyen értelmezésekkel én Nényei Pálnál jóval elnézőbb vagyok. Mert hiszen olyan nyugtalanság, szexuális tapasztalat, elfojtás, düh, csalódás, bűntudat, tehát személyes élményanyag bujkál ezekben a versekben, hogy azt semmi módon nem állíthatjuk, hogy Zrínyi, ez a Szigeti veszedelemben is annyi személyes élményt, mindennapi tapasztalatot feldolgozó költő, amolyan iskolai feladatként megverselte volna a mitológia szerelmi történeteit.
De mi is ez a személyes élmény? Mi is ennek a szerelmi élményanyagnak a mozgatója? Nényei Pál szerint a Zrínyi-féle Átváltozások mélyén kimondva-kimondatlanul ott rejlik a kimondhatatlan: a feleséggyilkosság. Természetesen nagy merészség a kötetkompozíció értelmezését egy, évtizedekkel Draskovich Mária Eusebia halála után fennmaradt pletykákhoz és a Káldy-kötetben található possessor-bejegyzéshez kapcsolni. Ám a koncepciót a Syrena-kötetben más motívumok is alátámasztják: mérgező fák, megmérgezett asszonyok, köztük a leghíresebb, a szerelme hibájából „mérges vizet” ivó Cumilla. És Nényei Pál érvelése olyan meggyőző, olyan katartikus erejű, hogy nehéz kivonni magunkat a hatása alól, bár bizonyítani persze a szerző sem tudja a gyilkosságot.

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A „kimondhatatlan” körbejárása nemcsak egy hajdani botrány öncélú leleplezése, hanem az interpretáció kulcsa, mozgatórugója, ami segít értelmezni a Syrena-kötetben található számos alakváltást, a köteten végigvonuló fény–árnyék-szimbolikát. Az elemzés katartikus hatást kelt, ám mégsem teljes. Ha az egész kötetet meghatározza az asztrológia és mitológia, akkor a szerző mért nem kísérli meg a címlapon található embléma mitologikus értelmezését? Tudjuk, a kötet világirodalmi párhuzamainak felderítésére korábban számos kísérlet történt, de vajon milyen irodalmi (esetleg képzőművészeti) párhuzamai lehetnek a Nényei által felfedett fény–árnyék-szimbolikának?

Pedig a megújulásnak a tavaszi nyitóképek, a híres Natureingangok óta nagy kultusza van az udvari kultúrában. A provanszál renovelar jegyei nem is korlátozódnak csak a trubadúr tavaszkultuszra, hanem kiterjednek a morálisan, transzcendensen is értelmezett ifjúság (joven), sőt a poétikai megújulás (novel chan) tiszteletére, a sirventésekben pedig a társadalom politikai megújítására, a rend „helyreállítására”. A trubadúrok zárt kertjei, a híres tavaszi nyitóképek tulajdonképpen fényekből és hangokból (madárénekből) konstruált zárt terek, ám a legnyilvánvalóbb fényszimbolika nem is ezeket, hanem a hajnal „eljövetelét” ünneplő verseket, az albákat jellemzi.  A provanszál Guiraut de Bornelhnél például:

Reis glorios, verais lums e clartatz,
Deus poderos, Senher, si a vos platz…

A tavasz és a tél természetesen a Syrena-kötetben is hangsúlyos szerepet kap. De még inkább a hajnal és az éjszaka ellentéte, amely a mitológiai és asztrológiai (át)értelmezés, továbbgondolás révén (Orion-bika-Éósz) az újraértelmezés kulcspontjává válik. Ám az udvari megújulás-kultusz alapján akár a „Szigetet”, az eposznak is nevet adó zárt teret is értelmezhetnénk metaforikusan. De azt el kell ismernünk, hiába tudnánk a Zrínyi-féle számmisztikusan is kifejezhető, nagy fény- és árnyjátéknak (Alderán–Aldebarán, Hajnal) felsorolni az udvari-középkori előzményeit, ez a motívumsor egyetlen – legalábbis általam ismert világirodalmi műben – sem alakult át ilyen grandiózus, politikai, poétikai, mitológiai koncepcióvá.
A teória kidolgozója, Nényei Pál – meglehet – több okból sem lesz a magyar filológusok kedvence. És nemcsak azért, mert a befogadás és megfejtés kalandját hol esszéisztikusan, hol szenvedélyesen (kéziratát épp a történelmi Zrinyi halálának napján zárva) taglalja, hanem a filológusok ellen intézett drámai kirohanásai miatt. Hiszen a Syrena-kötetet az ő elfogultságaik, történelmi részletekben elvesző, a költői koncepció egészére nem mindig tekintő magyarázataik is felejtésre ítélték – az unalom, a szigorlati és középiskolai kötelezők, a szűk körű konferenciák és rémségesen vaskos konferenciakötetek  mélységes mély alvilágába száműzték. De vajon teljesen igaza van-e,
Az biztos, hogy Zrínyiből, ahogy Janus Pannoniusból, Balassi Bálintból is, mára halott költő lett. És nem bántani kéne, nem újabb és újabb lábjegyzetekkel elárasztani a műveiket, hanem megszeretni és olvasni őket.

Nényei Pál: Ne bántsd a Zrinyit!
Kortárs Könyvkiadó. 2015.

[1] Mint a szerző is utal rá ebben az összefüggésben, a Szigeti veszedelem számmisztikus összefüggéseinek felfejtése is csak a XX. közepén kezdődött el.

Önkény és cinizmus: a rezervátumirodalom opciói

László Szabolcs szerkesztő, kritikus, fordítóval Borbély András beszélget az intézményesség és az irodalom viszonyrendszerének önkényes átalakítási tervezetéről, állami és alkotói szuverenitásról. 

Forrás: Fortepan (http://index.hu/fortepan/2016/01/24/mit_adott_nekunk_a_magyar_rendor/)
Forrás: Fortepan
(http://index.hu/fortepan/2016/01/24/mit_adott_nekunk_a_magyar_rendor/)

Borbély András: A Kárpát-medencei Tehetséggondozó Nonprofit Kft. (a továbiakkban: KmTN) létrehozása ürügyén kezdtünk el beszélgetni. De egy kicsit távolabbról indítanék: úgy érzékelem, alapjaiban rendül meg és értelmeződik át  a humán- és művészértelmiségi társadalmi helye, politikához és hatalomhoz való viszonya – és akkor itt lehet generációs, mediális, politikai, szociális stb. léptékváltásról beszélni. Maga az értelmiségi kifejezés is avittasnak, anakronisztikusnak hat számomra. Miben látod, ha látod ezt a változást? Van-e bármilyen valóságos hatása ennek a munkának, illetve a humán tudásnak a társadalmi folyamatokra?

László Szabolcs: Az az igazság, hogy személy szerint meglehetősen pesszimistán látom a dolgokat, ugyanis a jelenleg előállt helyzet és az általa megvilágított krízis számomra egyértelműen azt jelzi, hogy az “irodalmi/kulturális” szférát is meghatározza az a széleskörű, negatív irányú átváltozás, ami a magyar, és egyre inkább az európai közéletben is végbemegy. Ez természetesen általánosítás és vitatható (mert ugye kérdés, hogy milyen volt az a korábbi, jobb állapot), de én így értelmezem az elmúlt öt év közéleti eseményeit – és amellett érvelek, hogy így, összességében érdemes nézni a fejleményeket. Itt most egyszerre gondolok gazdasági, jogi, oktatásügyi, kulturális, stb. változásokra, tele volt/van velük a sajtó, lehet bőven válogatni példát.

Noha elutasítom a konspirációs felhangokat, számomra mégis egyértelmű, hogy például az alkotmánymódosítás, az MMA felszentelése, a „német megszállási emlékmű”, Szász Jenő egymilliárdos kamuintézete, a menekültváltság kezelése, stb., és az általunk tárgyalt Kárpát-medencei Tehetséggondozó Nonprofit Kft. esete mind összefügg. De nem konceptuálisan, nem egy előre eltervelt koherens terv elemeiként, s még csak nem is egy felgönyölíthető ideológia keretében, hanem leginkább az eljárás önkényes módozata, az erőkinyilvánítás teljesen cinikus természete révén.

Ezért nem tudnak igazán zöld ágra vergődni a társadalomtudósok a fennálló rendszer és a politikai átalakulás meghatározásakor – az eddig forgalomba hozott leírások közül talán tényleg a maffia-állam illik a legjobban (lásd a Magyar Bálint elméletét, és az általa összeállított két vaskos kötetet). S ezért van, hogy a sorozatos számonkérő felháborodásoknak szinte semmi, vagy nagyon elenyésző következménye van. Márpedig nem is mindig a számonkérések tárgya a meghatározó (pl. egy adott állami emlékmű politikai értéke/haszna mégiscsak elenyésző a hatalom számára, hisz van még számos más projektje), szóval nem ez okozza a megoldatlanságot, hanem leginkább magának a számonkérésnek, az egyeztetésnek, az átláthatóságnak, a nézőpontok pluralitásának a tudomásul nem vétele.

Magyarán: nincs baszakodás immár a lehetséges alternatívákkal vagy az elvekkel (bármilyen színezetűek legyenek is ezek), hanem kételyeket nem ismerő, önbizalommal telt, nyers hatalomgyakorlás zajlik.

András: Azt mondod, ha jól értem, hogy a KmTN egy hatalmi stratégia (önkényes) logikájába illeszkedik. Ennek ellentmondani látszik, hogy nem erőszakos, felülről irányított létrehozás történik, hanem OJD, legalábbis elmondása szerint, maga ment elébe ennek, maga kereste meg a hatalmat ezzel a tervvel. Akkor hogy is van ez az önkényességgel és az önkéntességgel?

Szabolcs: Szerintem a KmTN létrejötte igenis beleilleszkedik ebbe a logikába, márpedig keletkezésének módozata (egy eddig mindenki előtt homályban tartott, egyszemélyes terv varázsszerű megvalósulása a teljhatalmú főnök nagy kegye réven) és (az eddig kiszivárgott) intézeti koncepciójának zűrzavaros, színvonaltalan, anakronisztikus, improvizált jellege miatt (lásd a Kele Fodor Ákos vagy a Selyem Zsuzsa erre utaló meglátásait). Ezt tagadni goromba cinikusság, be nem látni pedig ártalmas naivság – egyik rosszabb, mint a másik. Könyörgöm: mintha eddig több évtizedes tevékenységgel rendelkező irodalmi-kulturális szervezetek nem folyamodtak volna pénzügyi támogatáshoz minden lehetséges úton-módon, minden bürokratikus és szabályzati előírást betartva! Mintha eleddig bizonyított szakmai tapasztalattal rendelkező személyeknek nem lettek volna hasznos, megfontolandó, és támogatásra méltó ötletei! Mintha a KmTN-al tényleg a spanyol viasz lett volna feltalálva!

Tehát a döntést, a létrehozást önkény és erőszak határozza meg a közéleti cselekvések szimbolikus terében, hiszen a konszenzusra vagy körültekintésre való törekvés teljesen hiányzott belőle. Rálátásom szerint a magyar irodalmi élet egy nagyon izgalmas, állandó változásban és átalakulásban levő kapcsolatrendszerként működik (hisz mivé is lenne, ha nem olvasnánk, szerkesztenénk, inspirálnánk, idéznénk, segítenénk egymást folyamatosan), ami ugyanakkor vészesen törékeny és nagyon hamar át tud váltani marakodó és rivalizáló frakciók mortál kombatjába. Ezért meglehetősen kriminális az egészsége szempontjából ennyire homályosan és izoláltan cselekedni, gondolkodni, mint ahogy ezt a KmTN esetében látunk.

András: Megint a részletekre mennék rá: OJD “külön alkujára”, amit a hatalommal kötött. Szerintem nem csak az írószövetségeket játszotta ki, hanem az Előretolt Helyőrséget is nehéz helyzetbe hozta, amikor a saját programja helyett a Helyőrséges előzményekre hivatkozott, és felhasználta a Helyőrség vélhetően koránt sem egységes háttérttörténetét a saját céljaira.

A másik megjegyzésem inkább talán “pszichológiai” jellegű: valaki ökéntesen felajánlja magát a hatalomnak, sőt külön alkut köt a riválisok (írószövetségek) háta mögött. Tehát hogy szinte öntudatlanul – és most ezzel jóindulatú vagyok OJD-vel szemben – korrumpálja morálisan a maffia-állam azokat, akik feltétel és kritika nélkül bíznak benne, vagy akik úgymond természetesnek veszik, hogy “a hatalom, minden hatalom ilyen”. Ilyenkor sütik el azt az érvet, hogy az előző kormány is a maga embereinek adta a lóvét, hát ez is ezt csinálja, ne pampogjatok.

Szabolcs: Az “öntudatlan korrumpálás” verziót sokkal nehezebben tudom elfogadni, mint a sokkal valószínűbb cinikus hozzáállást, amely a hatalom játékszabályait fogadja el, fenntartás, prüszkölés, pillanatnyi hőkölés nélkül.

Ami szinte tragikus az egészben, hogy az alapötlet persze nem elvetendő: elvileg szükség van egy államilag finanszírozott intézményre (egy térre, egy fórumra, egy tanulási, alkotási, kapcsolatteremtési helyre), amely persze széleskörű egyeztetéssel lenne megtervezve, a legnyitottabb és legváltozatosabb irodalomfelfogás és művészetpedagógia szerint átlátható, ellenőrizhető, kritizálható módon működne, s procedurális, meg jogi szempontból független, párt vagy érdek szempontból pedig semleges lenne. Nem a tehetség “gondozása” lenne a feladata, hanem a tehetségek számára a kibontakozás lehetőségének megteremtése – s ebben a megélhetés biztosítása is egyik a számos fontos aspektus közül. És így tovább, az ideális, bürokratikusan feddhetetlen művészkommuna előállításáig.

Csakhogy ebben a politikai és közéleti kontextusban (aminek csak egyik jelzője az „illiberális”), ami most paradigmatikusan ráfeküdt Magyarországra, a felkínált játékszabályok elfogadásával ehhez hasonló intézmény egyszerűen nem jöhet létre: sőt, még az elképzeléséhez, a közös tervezéshez sincsenek már meg a feltételek.

Fprrás: Fortepan (http://index.hu/fortepan/2016/01/24/mit_adott_nekunk_a_magyar_rendor/)
Fprrás: Fortepan
(http://index.hu/fortepan/2016/01/24/mit_adott_nekunk_a_magyar_rendor/)

András: Ezeknek a fejleményeknek milyen történelmi analógiáit látod?

Szabolcs: Ha bevezetünk egy történelmi perspektívát, egy elég kényelmetlen és komor folytonosságot lehet felfedezni (vagy, feltételezni). Sarkítottan fogalmazok: az irodalom mindig is a feudális, polgári és állami pénztől függött közvetlen, személyes, kapcsolatrendszeri módon, évszázadokon át. Lehet a mából taglalni ennek az etikai és esztétikai dimenzióit, de elfelejteni nem szabad.

A magyar kultúra pénzviszonyainak szemérmes ködösítésével is jó lenne felhagyni, hiszen tudjuk, hogy szegény Csokonai a pozsonyi országgyűléseken koldult pénzt a kötetei számára, hogy a Nyugat nem maradt volna fenn magánjellegű támogatás nélkül, és hogy ellenzéki megnyilvánulásaik, időleges elhallgattatásuk után Németh László, Illyés Gyula és Déry Tibor meglehetősen módosan, pompás villák teraszain élte át a késő Kádár korszakot. Még kényesebb és komplikáltabb azt boncolni, hogy pl. mit jelentett az államszocialista rendszer által felállított szigligeti alkotóházba minden nyáron beköltözni (Kertész Imre köztudottan itt írta a Kaddist), vagy Ceaușescu rendszerében az Irodalmi Alap által kiosztott kiszállási pénzösszegeket elfogadni (Bodor Ádám így járta be a Kárpátokat és szerzett anyagot a novelláihoz). Mert ezekben az esetekben is a brutális egzisztenciális szempontok és a különböző módon megfogalmazott, majd revideált elvek álltak egymással szembe.

András: Ez talán általánosítás, mert koronként és talán országonként is más azért a helyzet: a modernitás sok fontos szerzője éhezett, vegetált, és egyáltalán nem az írói honorokból élt meg. A premodern korszak irodalma persze lehet, hogy döntően feudális kiváltságokhoz kapcsolódott, de a 18-19. századtól elindult egy másik folyamat is, ami az irodalmat emancipatórikus mozgásként is leírhatóvá teszi, és itt az alkotói döntések szuverenitása is jelen van a társadalmi-politikai-gazdasági beágyazottság mellett, s ez az állami szuverenitás vagy önkény egyfajta, bár talán törékeny ellenpontjának is tekinthető..

Más kérdés, hogy ezeket a műveket a kánonba, oktatási anyagba illesztve már nem felszabadító, hanem kultikus-kanonikus művekként, a nemzeti alaptanterv részeként tanítják… De a gondolatodat mégsem vetem el, csak árnyalnám, mert nyilvánvaló számomra is, hogy így vagy úgy, de a művész és a művészi alkotás nem pusztán tárgyi vagy személyi értelemben, hanem úgymond szerkezetében, felépítésében is része, hordozója a rendszer sajátosságainak, amelyben él/megjelenik… És ebben konkrét esetben is látható egy talán feudalizációnak is nevezhető mechanizmus. Szerinted miben áll a mostani és a miénket közvetlenül megelőző államszocialista rendszer hasonlósága/különbsége ebből a szempontból?

Szabolcs: Talán a legszembeszökőbb különbség egyszerűen és röviden annyi, hogy az irodalom immár nem hatalmi tényező: sem az írott kultúra, sem az írók maguk nem számítanak ilyen értelemben. A rendszerváltásig a hatalomnak ténylegesen szüksége volt az irodalomra és az írókra, a támogatásukra, a szavaikra, a kézfogásukra – lásd Aczél körmönfont taktikáit és az írók kiegyező „gesztusait”. De az utóbbi évtizedekben lezajlott egy teljes médiumváltás, amely a stadionok és a populáris tömegkultúra világában a teátrális gesztusokra alapoz (ahogy ezt György Péter többször megírta illetve elmondta), és a fent is leírt paradigmában az irodalomra, sőt bizonyos mértékig az írott sajtóra sincs igazán szükség a legitimitás fenntartásához vagy a (nemzeti-állampolgári) identitás meghatározásához.

Ez persze egyrészt üdvözlendő: mivel rezervátumba vonult vissza az irodalmi élet, nincs értelme a cenzúrának vagy az ilyen-olyan irányvonalak megszabásának: teljesen mindegy, hogy miről és hogyan pofáznak az írók, a politikai vezetők immár nem kényszerítenek művészeket önkritikára vagy támogató írások publikálására. Másrészt pedig fájdalmas következményekkel is jár, mert emiatt (és persze a jóléti társadalom lebontása miatt is) az állam (Kelet-Európában legalábbis) nagyjából kiszállt a kortárs kultúra és az alkotók mögül.

adamprsc

András: Az irodalomtörténetben a kilencvenes évektől üdvözölték azt a fejleményt, hogy végre az irodalom valóban irodalom lehetett, autonómmá vált, levált a politikáról és a hatalomról, és lehetővé vált, hogy kizárólag saját “belügyeivel” foglalkozzék. Az általad vázolt folyamatban ez az autonómia egyben a feleslegessé válás, a társadalmi képzeletről való leszakadás, egy rezervátumba vonult létforma előzményeként is (újra)értelmezhető, és ezt akkor kevesen vették vagy vehették észre.

Szabolcs: Így van. Vári György szokta emlegetni azt az 1991-es Petri-interjút, amelyben azt fejti ki, hogy a “megvalósult szabadságban” nincsen már politikai szerepe a költészetnek, a technokraták foglalkoznak a parlamentben a politika ügyeivel, az orvosok a betegekkel, a költők pedig a jambusokkal. Ez tehát egyszerre önkéntes területfeladás is volt, a művészet szerepének öncsonkító szűkítése. Nekünk pedig ezzel az “örökséggel” is valahogy meg kell küzdenünk.

Mostanra pedig szerintem ott tartunk, hogy nincs kultúrpolitika és nincs kultúrkampf, hanem csak egy megtűrt rezervátum, kulturális homokozó, melyben ártalmatlanná vált, fogatlan lényeknek adnak néha egy-egy kis koncot. De nem csak a minimálisra fogott pénzügyi támogatásról van szó: az intézményi leépítés (vagy privatizálás) és a közéleti fókusz elterelése azzal járt, hogy az elő kortárs magyar kultúra (ennek heterogén, izgalmas, inspiráló világával) fokozatosan levált a magyar közéletről, a „nép” mindennapjaiból, a társadalmi képzeletből. És ez a KmTN-ra is vonatkozik.

András: Konkrétan hogyan vonatkozik?

Szabolcs: Azáltal, hogy egyenesen belejátszik, megerősíti és kihasználja ezt a helyzetet: a létrehozása szentesíti ezentúl az irodalmi szféra és az állam viszonyát, a túlélés egyedüli, személyi érdekektől és kapcsolatoktól függő módszerét. Azaz így fognak a homokozóban működni a dolgok: nem szakmai, kuratóriumi, egyeztetési és konszenzusos alapon, hanem így, ebben a vazallusi stílusban.

A KmTN tehát nem ideológia és nem kurzus elvárásai szerint jött létre, és nem is egy bizonyos fajta irodalomfelfogás vagy művészetszemlélet van itt kialakulóban. Pontosabban, nem ez a döntő alapvonása a projektnek (hiszen ez tényleg változhat később, lehet foltozni, csiszolni hajlandóság, képesség szerint), hanem az, hogy létezése immár letagadhatatlanul a nyers és cinikus hatalomgyakorlás élő bizonyítéka lesz (mint a német megszállás emlékműve vagy a déli határon a kerítés – amelyek nem lennének jobbak attól, ha az előbbi modernebb esztétika szerint, az utóbbi pedig éles pengék nélkül készül).

András: Hogy látod, hogyan ér össze az esztétikai és a politikai vetület ebben a kérdésben?

Szabolcs: Az előszeretettel elfogadott és fenntartott rezervátumi lét egyértelműen magával hozza az esztétikum autonómiájának erőteljes hangsúlyozását. Ez a szemlélet tagadni szeretné azt a nyilvánvaló tényt, hogy a művész egyszerre létezik alkotói, gazdasági és politikai viszonyrendszerekben, amelyektől függ és amelyekért ugyanúgy felelős intellektuális tevékenysége révén, mint minden más állampolgár. Az szerintem egy kényelmes, de tarthatatlan illúzió, hogy az “irodalmilag” vagy az irodalom érdekében meghozott döntések függetleníthetőek egy általánosabb közéleti összefüggésrendszertől.

Ilyen értelemben a KmTN-hez esetleg társuló fiatal tehetségek esetében a „megalkuvás” és a „kompromisszum” nem művészi, stiláris vagy tartalmi szempontból tárgyalandó. Csatlakozásukkal nem egy ideológiát fogadnak el, hanem ennek az egyirányú viszonyrendszernek és hatalomgyakorlásnak az egyedüli „valóságát”. És félő, hogy emiatt hajlandóak lesznek lemondani az alternatívákban és pluralizmusban való gondolkodás lehetőségéről. Műveik formális, esztétikai értéke talán megmarad (illetve az utókor esetleg kimagyarázza őket), de a – jobb híján mérceként felmutatható – liberális demokrácia fogalmi keretei között értelmezett civil identitásukról és egy másféle társadalom reményéről lemondanak.

András: Köszönöm a válaszokat!

Árnyék

Ha nem utálod a kisbabákat, ezzel a kölyökkel egész jól elleszel. Nem bömböl sokat, egész mókás feje van, és ha megtömöd a kajájával, gyakorlatilag órákon át békén hagy. Hét hónapos, tehát, ha a muterjáék hazajönnek, nem fog beköpni, hogy végig a telefonodon lógtál – mondta a haverom, és hozzátette, amúgy anyuka egész jó bőr, kár lenne kihagyni, majd meglátod.
Nem voltam túlzottan eleresztve, így elvállaltam, hogy hetente egy-két alkalommal vigyázok a kis srácra. Mondjuk, nekem az anyuka nem annyira jött be, de két alkalomból megvolt annyi pénzem, amiből a hétvégi bulikat tudtam finanszírozni. A szüleim csodálkoztak, hogy ilyen munkám van, mert gyerekkoromban kemény ellenállás volt bennem, ha szóba jött, legyen-e kistestvérem. Egyszer állítólag azt is mondtam anyámnak, ha idehoz egy kisbabát, én megölöm. Mármint a gyereket. Lehet, hogy kicsit erős volt, de leszálltak a témáról, és így jobb volt mindenkinek. Apámnak aztán mégis lett még kettő, de ezt inkább hagyjuk.
Az a kisgyerek egyébként kimondottan aranyos volt. Amikor először találkoztunk, épp náluk volt a nagyanyja. Halálra rémisztett. Ott ült a konyhaasztalnál egy épp csak középkorú nő, és nézett ki a fejéből. Azt nem tudom, a haja festett volt-e, de nem volt ősz, és fiatalosan rövidre volt nyírva. A legfeltűnőbbek a hatalmas, élénk kék szemei voltak. Az alkata alapján azt mondtam volna, nem rég még sportolt. Vagy talán még akkor is, mert egész jó formája volt. Feltűnt, hogy csak egy fülbevalója van.
Jóbőr bemutatott neki, mondta, hogy én leszek az új bébiszitter, meg elmesélte, hogy külföldre ment az elődöm, meg hogy majd meglátja, milyen jól ellesz velem is a kicsi. Semmi reakció. De még csak rám se nézett.
Aztán hozzám fordult, és mondta, hogy az anyja demens vagy mi a tököm, és vannak jobb és rosszabb időszakai. Most épp a rosszabb van, de amikor nem ilyen súlyos, akkor nagyon klassz minden, és reméljük, majd lesz alkalmam elbeszélgetni vele. Meg, hogy próbálnak felelősséget adni neki, hátha akkor nem romlik olyan gyorsan az állapota. Rövidebb időkre még a babát is ráhagyják, ha nem alszik ilyen mélyen a tudata. Kikészített a dolog. Hogy lehet úgy beszélni egy tök sötét emberrel, mintha normális lenne?
Később, ahogy a babát néztem, annak meg tisztára olyan volt az arca, mint a halott nőé, csak az volt a különbség, hogy a gyerek folyamatosan pörgött: hangokat adott, meg buzerálta a játékait, amik az ágyában voltak.
Eszembe jutott a nagyanyám. Ő volt az egyetlen a nagyszüleim közül, akit ismertem. Tavaly halt meg valami vidéki kórházban. Akkor már rég nem láttam. De régebben évente legalább egy-két alkalommal találkoztunk. Többet azért nem, mert ő nem nagyon hagyhatta ott a kertet, meg az állatokat, anyámék meg a munkájukat. De arra emlékszem, hogy az egy tök normális néni volt. Komolyan.
Kicsit beszartam, hogy majd a zombi is ott lesz, amikor vigyázok a gyerekre, mert úgy éreztem magam a közelében, mintha a Madame Tussauds-ban lennék, ami szerintem állati félelmetes hely.
De csak egyszer volt ott. Fölhívtak, hogy sürgősen át kell mennem; az anyuka nem tud megvárni, de míg odaérek, ott lesz a nagyi. Na, mondom, jól nézek ki, ha lehúzza a gyereket a vécén, mielőtt megérkeznék.
Jól van, nagyi a lakásban, gyerek az ágyban, üzenet az asztalon: ha megjöttél, hívj egy taxit a nagymamának. Ott volt valami telefonszám, meg kód is, nyilván a taxis már tudja, hogy a néni kattant, és nem hagyja elkóborolni, miután kiszáll a kocsiból. Amíg a kocsit vártuk, mondtam neki, hogy várakozzon szépen a konyhában, és behajtottam az ajtót, ne kelljen látnom. Én a nappaliban voltam, és figyeltem, nehogy kijöjjön. Nem nagyon hallatszott semmi mozgás, de egyszer csak látom, hogy valami sötét izé nagyon lassan folyik ki a konyhai küszöb alatt. Volt ott a szekrényen egy váza, azt megfogtam, hogy ha kell, meg tudjam védeni magam. Meg a kicsit, ugye.
Teljesen némán közelített, levegőt se nagyon vettem, vagyis csak kicsiket és gyorsan. Már vagy egy métert megtett, amikor rájöttem, hogy ez valami árnyékféle. Felém tartott.
Lassított felvételben elindultam felé. Valamit csinálnom kell vele. Gondoltam, széttaposom, vagy valahogy visszatuszkolom a nőbe.
Akkor csöngettek. A taxis. Végre! Kinyitottam a konyhaajtót, meg a bejáratot is, az erkélyen át meg kiordítottam, jöjjön fel az utasáért. Gyorsan megszabadultam tőle.
Mikor elment, hallottam, a gyerek nyöszörög a szobájában. Nem tudtam még bemenni, előbb bezártam mindent, és ittam két pohár vizet a fürdőszobában. Néztem a padlót. Az árnyék még most is látszott kissé.
Aztán láttam, hogy a kicsi épp azt gyakorolja az ágyában, hogyan tud felállni. Ahányszor felhúzta magát a rácsokon, visszaültettem. Megcsinálta vagy ötvenszer. Na, mondom, lesz itt izomláz. A sok tornától össze is csinálta magát, tehát a nem éppen kedvenc műveletem következett.
Alig nyitottam ki a pelenkát, csörögni kezdett a telefon. A gyerek meg ott fekszik kicsomagolva, csupa kakásan. Az anyja ilyenkor simán a vállára veszi, aztán cipeli össze-vissza csupasz fenékkel. Mondjuk nekem mindegy, ki telefonálgat. Ha engem keresnének, úgyis a mobilomat hívnák.
Hogy lehet ilyen idegesítő hangot beállítani? Legszívesebben kivágtam volna azt a telefont az ablakon, de nem hagyhattam a gyereket a pelenkázón. És csak csöng. Aztán vége, de rögtön utána még egyszer. És még. Odahajoltam a kicsihez, és azt mondtam neki: itt maradsz, érted? Kimegyek, hát a telefonon látom, hogy a nagyi hív. Na, mi van, tud telefonálni? Kis habozás után felveszem, és várom, mit akar. Azt mondja, a kicsi. Mondom, mi van vele. És akkor megint, hogy a kicsi. Mondom, tessék már mással szórakozni, jó?
Amikor visszamegyek, a gyerek pont fordul le a pelenkázóról. Isten bizony nem esett nagyot. Ha kicsit is magasabban van, milyen csúnyán koppant volna a feje a padlón, te jó ég! Ha egy ilyen kis test a nagy fejével leesik, nem csak koppan, de még reccsen is egyet a nyakánál, ahogy leér. Mert túl nagy a fejük a kisgyerekeknek. Olyan, mint egy súlyzó. A szemük is felakad egy pillanatra. Eltűnik a pupilla, és csak a fehérje látszik. Hú, de klassz kis kölyök. Nem is sír.
Úgy tűnt, a sok tornától el is fáradt, mert szinte rögtön elaludt, amint visszatettem az ágyába. Még akkor is aludt, amikor hazajöttek a szülők.
Jobbnak tartottam elmondani, hogy a néni zavaros dolgokat mondott a telefonba, hátha ők érteni fogják, mit jelent. Hazamentem, és nekiálltam diákmunka oldalakon keresgélni. Én nem csinálom tovább ezt a melót. Felmondok, mielőtt én is megzakkanok.
Este meg hív a nő, és hisztérikus hangon mondja, hogy emlékezzek vissza, mit mondott még az anyja, mert a kicsit nem tudták felébreszteni, most viszik épp a kórházba. Többször is megismételtem, amire emlékeztem belőle. Amikor letettük, eszembe jutott, mintha a gyerek fejét is említette volna. Ez biztos hasznos információ, ha mondjuk valami baleset történt. De nem hívtam vissza, inkább megírtam egy üzenetben, hogy ne zavarjam, amikor ilyen feszült, meg minden.
Egy hét múlva hívtam őket telefonon, hogy megtudjam, mi van a kicsivel. Nem volt valami szívderítő. Akkor már magához tért, de mesterségesen altatták, és infúziózták. Még nem lehetett tudni, lesz-e valami maradandó baja. Nagyon durva. A nagymama meg azóta sem volt annyira tiszta, hogy rendesen kikérdezzék. Meg ha az is lenne, ki tudja, mire emlékszik az egészből. Megkezdték az eljárást, hogy bekerüljön valami olyan intézetbe, ahol van egy csomó hasonló ember. Még mielőtt ennél is nagyobb bajt csinál. Na, az kegyetlen lehet! Ha filmes lennék, biztos ott forgatnék horrort.
Ha öreg leszek, és nekem is így meglágyul az agyam, frankón kinyírom magam, még azelőtt, hogy elfelejteném, hogy kell csomót kötni. Szegény kisgyerek.

 

 

(Illusztráció: Malwina Chabocka)

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